Prima di avere figli ho sempre ritenuto
che mollare una sberla o uno sculaccione ad un bambino non fosse poi
così grave e 'non avesse mai ucciso nessuno'. Quando poi è nata mia
figlia non mi è mai venuto spontaneo alzare le mani e le uniche due
volte che è successo credo abbia fatto più male a me che a lei. Mi
sono resa infatti conto che nel momento in cui picchi un bambino
significa che non hai più argomenti, hai smesso di comunicare. Una
sberla data con rabbia è solo sfogare la propria frustrazione e la
propria impotenza. Ho capito a mie spese che la punizione corporale è
sostanzialmente un fallimento e che se usata deve essere gestita in
maniera lucida.
Eppure il 27% dei genitori italiani
ricorre alle percosse come strumento di educazione dei figli così
come rivelato da una indagine della Società Italiana di Pediatria
condotta in collaborazione con Save The Children che ha raccolto le
interviste da un campione di 436 pediatri.
Gran parte dei pediatri intervistati,
l'81,2%, considera le punizioni fisiche una vera e propria forma di
violenza mentre solo il 7,2% ritiene che siano un valido strumento
educativo e solo l'1,2% giudica la punizione fisica il metodo più
efficace per correggere i figli. Nonostante questo i genitori non
sempre interpellano il pediatra nelle questioni che riguardano il
comportamento dei figli e proprio e il 46,5% dei pediatri ha
affermato di essere a conoscenza dell'utilizzo reiterato di punizioni
che possono sconfinare nel maltrattamento.
Le punizioni fisiche sono quindi ancora
diffuse e in molti contesti accettate culturalmente, eppure molte
evidenze sottolineano come possano portare a danni irreversibili
nello sviluppo psicofisico di un bambino, minare la sua sicurezza e
l'autostima. Danni così profondi che in Europa sono già 23 i Paesi
che hanno reso reato picchiare un bambino.
(Fonte Pediatria n.3 - marzo 2013)
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