Da molti anni si tenta di misurare la 'life satisfaction' delle popolazioni e di individuarne i fattori salienti. Stanno meglio quelli che vivono in paesi ricchi? Con un clima favorevole? Oppure dove è alto il livello di religiosità?
Sorprendentemente numerosi studi hanno stabilito che i soldi non sono un fattore determinante e nemmeno la religiosità, il livello di cultura generale o il clima.I giovani non sono affatto più felici dei vecchi (la felicità dichiarata è maggiore nella fascia di età tra i 45 e i 70 anni, consapevolezza?) ma conta la percezione del mondo circostante e il modello cognitivo individuale. Tra i fattori di benessere ai primi posti c'è la salute o comunque l'assenza di malattia e poi il lavoro, ma anche qui la valutazione è soggettiva: gli ottimisti e gli estroversi valutano la propria salute migliore dei pessimisti a parità di condizioni. Altro fattore di benessere è la presenza di una rete sociale di sostegno, una famiglia unita e amici sinceri fanno scattare in alto la percezione della felicità molto più di un reddito alto guadagnato in solitudine. Gli introversi sono orientati all'isolamento e fanno fatica a valutare il mondo con lenti rosa, al contrario di ciò che avviene per le persone socievoli che mostrano una attività elettrica sottocorticale più intensa nella corteccia prefrontale sinistra.
Molte ricerche inoltre hanno mostrato sorprendentemente un effetto minimo sulla felicità di fattori importanti come il reddito e lo stato civile (nonostante altre ricerche abbiano evidenziato che gli sposati siano mediamente più felici dei single) mentre la scoperta più interessante ed istruttiva è la capacità di adattamento dell'essere umano. In condizioni favorevoli come ad esempio una vincita in denaro, la felicità torna presto ad un livello medio e non ha grandi effetti a lungo termine, questo perché il cervello tende sempre ad uno stato di equilibrio. Ma l'aspetto più rilevante è che questo effetto equilibratore interessi anche gli eventi fortemente negativi come ad esempio la perdita della vista, il finire su una sedia a rotelle, un lutto. Come spiega chiaramente Kanhemann 'i paraplegici non sono molto più infelici dei soggetti sani di un gruppo di controllo' il che significa che la nostra mente è plastica e tende ad un benessere medio. Anche gli effetti di un matrimonio (benefici) e di un lutto (negativi) svaniscono del tutto a tre anni dall'evento e già nel 1995 si era visto che in Giappone il livello di felicità non era cresciuto tra il 1958 e il 1987 nonostante il reddito medio fosse quintuplicato. La morale è duplice: si conferma che i soldi non danno la felicità (fatto salvo che ve ne siano per una sopravvivenza dignitosa) e che il nostro cervello ha capacità straordinarie di adattamento. Certo è che la felicità rimane comunque una delle cose più inseguite dall'animo umano come in parte dimostra il successo della canzone di Pharrell Williams che la celebra e che ha portato a balletti di emulazione in tutto il pianeta. Dovremmo solo capire che la felicità non deriva da fattori esterni ma che è proprio dentro di noi ed è fortemente dipendente dal nostro atteggiamento mentale e dalla modalità con cui 'leggiamo' l'ambiente e i fatti che ci circondano.
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