Da qualche tempo va in onda su un canale satellitare un
programma televisivo dal titolo “Io e la mia ossessione” che racconta la storia
di come il disturbo ossessivo si manifesti nelle sue forme più complesse. Tra i
casi maggiormente rappresentati vi è la tendenza di alcuni soggetti ad assumere
sostanze non commestibili come sabbia, muro, terra, detersivi, sabbia, sapone,
carta e molto altro. Il disturbo viene chiamato ‘picacismo’ e fa parte dei
disturbi dell’alimentazione come alterazione del senso del gusto e dei disturbi
ossessivi e in alcuni casi di schizofrenia. Ma si legge anche che ne manifesta
qualche segnale tra il 10 e il 30% dei bambini tra gli zero e i sei anni.
Sembrerebbe quindi evidente che il disturbo faccia parte della sfera dei
disturbi mentali se non avessi appreso che la cosa ha una origine organica e
che sia spesso appannaggio di soggetti che presentano carenze di ferro, zinco e
vitamine. E andando un po’ più in là scopro che in alcune culture questa
pratica viene accettata e non considerata affatto patologica. Culture nelle
quali l’alimentazione è povera e squilibrata e si riscontrano quindi le carenze
di cui accennavo tanto che, ristabilito l’apporto di ferro nella dieta, il
disturbo regredisce spontaneamente.
Sorvolo sui rischi per la salute, sulle possibilità di
avvelenamento e le conseguenze sull’apparato intestinale per concentrarmi sull’aspetto
antropologico della questione. Perché di questo disturbo si hanno tracce sin
dall’antichità: Platone stesso consigliava alle donne incinte di assumere
argilla, gli aborigeni australiani la usano ancora per la panificazione e nei
mercati africani viene venduta come digestivo o per curare la dissenteria. L’assunzione
di materiali non commestibili (anche corde, capelli ecc) è considerata ancora
oggi un fenomeno normale in alcune società rurali dove si arriva ad assumere
materiali che contengono metalli pesanti che hanno come esito intossicazioni da
piombo, cadmio, molto gravi e talora fatali. Ma anche ostruzioni intestinali e
infezioni parassitarie gravi. In un interessante caso descritto sull’ultimo
numero di Area Pediatrica il caso di un bambino che una volta al mese assumeva
da 5 anni caolino, un minerale silicato delle argille che non solo era
conseguenza di una grave anemia ma che ne rappresentava anche la causa: come
spiegano gli autori del caso (presentatosi all’Ospedale Sant’Anna di Ferrara)
la superficie della caolinite presenta cariche negative che legano le cariche
positive del Ferro e lo sottraggono all’assorbimento da parte del duodeno. Inoltre
le tracce di quarzo presenti nel caolino determinano una abrasione della mucosa
intestinale che favorisce la desquamazione e la perdita di patrimonio marziale.
Ecco come allora l’assunzione di caolino sia diventata sia causa che effetto
dell’anemia. Interessante è comunque che quando l’origine del disturbo sia ‘etnica’
ossia una pratica accettata culturalmente, si debba escludere l’orgine
psichiatrica del disturbo, configurando una patologia ad eziologia quasi
culturale.
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