Le donne italiane sembrano le più umiliate, meno pagate e riconosciute. Si barcamenano tra casa e lavoro, se decidono di mettere al mondo un figlio o un secondo spesso non riescono a riavere le vecchie mansioni. Nella analisi di Caterina Soffici le donne hanno lottato per cercare la parità e hanno trovato uno stato di subordinazione, o quanto meno una libertà addomesticata. Colpa anche nostra, di noi donne, che non sappiamo usare i nostri diritti ma anche di quelle che non fanno 'branco'.
Mentre gli altri paesi adottano le quote rosa, in Italia il lavoro è sempre più precario e non tutela la maternità mentre negli Stati in cui il lavoro delle donne è tutelato esse fanno carriera e hanno più figli senza trovarsi di fronte ad un dilemma (a questo proposito consiglio l'illuminante Womenomics appena pubblicato dai tipi del Sole 24ore).
Per l'ascesa sociale sembrano avere una sola chance, il corpo, e infatti la rappresentazione dell'immagine della donna, in tv come in pubblicità è particolarmente desolante.
La cosa più triste è che in Italia le donne non lottano più perchè credono (sbagliando) che non sia più necessario e il Paese rimane sempre più maschilista.
Il libro di Soffici mette insieme le storie delle donne che all'estero hanno lottato per i diritti di tutte e le affianca a quelle che con gli occhi foderati di prosciutto continuano a percorrere scorciatoie femminili per avere qualche briciole quando spetterebbe loro la metà della torta.
E mentre ci appare alla memoria la Prestigiacomo e il suo pianto di rabbia quando bocciano la proposta di un misero 25% di quote nelle liste elettorali, non posso fare a meno di pensare che in Ruanda le donne in Parlamento sono il 48%. Chi sarebbe allora il Terzo Mondo?
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