venerdì 5 ottobre 2007

La bruttezza e' un handicap

Vi segnalo una interessante inchiesta su Dweb, il settimanale di Repubblica.
Ve ne propongo solo una prima parte, il resto potete leggerlo sul sito di Repubblica.
Spero ora che le persone brutte non comincino a chiedere una indennita' o, peggio, l'accompagno. Io gia' faccio una fatica bestia a trovare qualcuno con cui andare al cinema.

Brutti & discriminati
di Maria Grazia Meda
Non essere belli è un problema, anche sul lavoro. Ma parlarne è tabù

Nino ManfrediSmettiamola di fare gli ipocriti: non è vero che l'importante è essere belli dentro. E non c'è neanche bisogno di chiedere conferma ai brutti. Lo sappiamo tutti. Il problema è che ammetterlo è politicamente scorretto. E invece, la bruttezza è un handicap.La prova, tanto perfida negli intenti quanto inconfutabile nel risultato, ci arriva dal dipartimento di Sociologia dell'università di Alberta, in Canada. Un gruppo di ricercatori ha deciso di affrontare il problema nel suo aspetto più sacro: il teorico cieco amore di una madre. Che stando ai risultati così cieco non è.Il gruppo, diretto dal professor Andrew Harrell, ha studiato il comportamento delle madri con i figli piccoli in una serie di supermercati. Risultato: più il bambino è carino, più la madre gli presta attenzione, non perdendolo mai di vista e tenendolo quasi sempre per mano. Ma se il pargolo è bruttino la madre - orrore! - diventa molto più sbadata, non lo tiene per mano, lo lascia allontanare e arriva persino a non allacciare l'apposita cintura di sicurezza se lo mette a sedere sul carrello. Resi pubblici i risultati, Harrell ha ricevuto centinaia di email di genitori indignati i quali, dopo avergli suggerito di vergognarsi per aver osato formulare un pensiero così cattivo, chiedevano se fosse legittimo sprecare i soldi dei contribuenti in ricerche offensive e inutili.Ma sono davvero così inutili? Non c'è piuttosto un nucleo di verità che preferiamo eludere? Per il sociologo Jean-François Amadieu, docente alla Sorbona e direttore del laboratorio di ricerca sulle discriminazioni nel mondo del lavoro Cergos, le cose stanno proprio così. "E ci sono argomenti che gli anglosassoni affrontano", aggiunge, "ma che nei Paesi latini preferiamo evitare. Uno è proprio quello della bruttezza e dell'aspetto fisico. Le faccio un esempio. Se noi dimostriamo che una persona bella guadagna di più, e quindi apriamo un discorso più ampio sull'importanza dell'aspetto fisico, rischiamo di venire presi per dei partigiani dell'eugenismo. Quando ho scritto un libro su questo argomento ho pensato a lungo di pubblicarlo con uno pseudonimo. Temevo reazioni ostili non solo del pubblico, ma anche del mondo accademico".Nel saggio Le Poids des Apparences (edizioni Odile Jacob), Amadieu recensisce e analizza il vasto materiale anglosassone dedicato appunto al peso delle apparenze. Che inizia a farsi sentire già in culla.L'anatomia è destinoTutte le indagini che includono dei parametri di bruttezza e di bellezza dimostrano che la discriminazione nei confronti dei brutti comincia nella prima infanzia. Si tratta di una discriminazione insidiosa, strisciante, che perseguiterà i brutti per tutta la vita. In un'indagine dei primi anni Settanta, "Physical Attractiveness and Sociometric Choice in Young Children", tre studiose americane, Karen Dion, Elaine Walster ed Ellen Berscheid, dimostrarono che già all'asilo i bambini belli sono considerati migliori dalle maestre e dai compagni, mentre i brutti sono puniti più spesso ed emarginati dal resto del gruppo.

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