lunedì 27 giugno 2011

Coltivare la pazienza



Mi sto rendendo conto in questi anni che la vita non è altro che un susseguirsi incessante di rogne e sollievi. O almeno così è la mia e quella di molte persone che conosco. La stabilità è dentro, se ad esempio vivi senza che ti tremino le gambe all'idea della solitudine. Per il resto i fatti ti mettono continuamente alla prova e così le persone. L'amicizia e l'amore sono un continuo compromesso tra cose che puoi accettare e cose che non riesci e anche qui il conflitto è continuo ed estenuante. Invece di remare contro quindi, si accetta, lo chiamano 'adattamento'. Ti abitui al fatto che alcune cose vanno bene e altre meno e godi di quelle belle, anche piccole, minuscole. Ho imparato anche che la serenità si nutre del poco, di sobrietà. Se hai quattro case da mantenere e manutenere hai il quadruplo di cose a cui pensare e forse il tempo bello che ci passi è inferiore a quello brutto in cui hai preoccupazioni. Se non hai macchine non temi che ti si rompano o le rubino. Insomma, gli OGGETTI sono in fondo un grande ostacolo al benessere. Bisogna quindi avere un lavoro che piace e possibilmente diverte, ampi margini di libertà per gli interessi personali, tempo per leggere e frequentare le persone che si amano, tempo per riflettere e personare senza passare sopra alle cose. Insomma, tempo. Il vero lusso. E poi la stabilità interiore, un minimo di autostima e una piccola quantità di denaro risparmiato per le emergenze. Mi ha profondamente colpita la storia di un barbone americano che sedeva agli angoli delle strade con un cartello davanti: 'I need nothing'. Se non è questa la felicità.....

sabato 25 giugno 2011

La sottile competizione tra amiche



Anche le migliori possono cadere nell'errore della competizione. Specialmente se entrambe hanno la stessa età e la stessa condizione di 'singletudine' e allora capita che una pensa all'altra e l'altra pensa...a se stessa. Non sono tutte generose le donne, le più insucure hanno bisogno di credere di essere le più ammirate e desiderate, raccogliere tutti i complimenti, salvo non saper distinguere quelli sineri da quelli strumentali. E allora così l'amicizia è zoppa, asimmetrica. Eppur succede e anche tra quelle che dichiarano immenso affetto ma nei fatti non muovono un passo per agevolarti. Per fortuna non ho bisogno di nessuno e so ben presentarmi da me, ma alla lunga questa situazione di monopolio mi ha fatto capire con chi ho a che fare e mi sono un po' raffreddata. La donna insicura non prevede che gli altri possano avere interesse nemmeno per i loro 'scarti' e questo è davvero il colmo. Quello non mi piace ma preferisco che sia solo piuttosto che con la mia migliore amica. Migliore? E questa è una amicizia? E' invece il seme della competizione che ho sempre rifuggito. E il veleno dell'invidia che la porta a portar discredito ad un amico comune purchè io non mi illuda che possa avere interessi ancorchè professionali. Profonda delusione umana e ancor di più di fronte al fatto che tutte queste energie spese nel 'divide et impera' non portano a nulla per sè, se non una ricerca continua di qualcuno che possa placare l'insicurezza. Qualcuno che riconosca che esista, perchè una donna da sola non può esistere. Tutto il contrario di quel che ritengo io, ossia che bastiamo a noi stesse tanto quanto i maschietti e che una relazione abbia senso solo se di qualità e non per status. Alla ricerca di una identità che ti dà solo l'essere accompagnata e sposata col risultato di non vivere degli anni bellissimi e rimanere in una costante attesa. E allora anche il mio attaccamento, che si alimenta di reciprocità, scende e declassa al livello di amicizia e buona conoscenza, ma l'aggettivo 'migliore' sfuma via. Perchè la migliore amica è quella che cerca te e non aspetta solo che sia tu a prendere una iniziativa per frequentarti. Se ha trovato compagnia migliore buon per lei, se non ho bisogno di un compagno per stare bene, figurarsi se ho bisogno di una amica in più o in meno. Il bello della mia condizione è la totale assenza di dipendenze affettive. Chi c'è c'è, chi non c'è...è uguale. Io ballo da sola e mi diverto un sacco.

venerdì 24 giugno 2011

The "popcorn brain"





Elena, il nome è di fantasia, è una giovane trentenne single che lavora in una multinazionale. Dal computer dell'azienda alla possibilità di connettersi in rete e andare su Facebook per mantenere alcuni contatti con gli amici anche durante le ore lavorative. Ma anche al ritorno a casa si connette con il portatile per svariate attività: postare qualche foto, inviare un simpatico tweet, mandare delle e-mail personali, eppure ci sarebbero molte altre cose da fare, più rilassanti, più piacevoli ma è come se il suo cervello avesse bisogno di una stimolazione costante e di comunicare sempre e ovunque. Gli scienziati lo hanno chiamato "pop corn brain” e riferiscono che il fenomeno è in crescita: anche persone che vivono nella stessa casa comunicano tra loro tramite chat, e si rimane in qualche modo mentalmente connessi la maggior parte delle ore di veglia. Purtroppo però i contatti tra persone in remoto stanno portando al singolare fenomeno di appiattire le emozioni e di non renderle più visibile sui volti: è difficile infatti interagire con uno schermo dove appaiono solo caratteri testuali. Inoltre le interazioni umane sono qualcosa che si apprende e sulle quali è necessario far pratica, quindi le amicizie sempre più virtuali hanno mostrato di impoverire le nostre capacità sociali. Anche gli esperti di dipendenza si sono accorti a loro spese che è molto difficile staccarsi dalle proprie estensioni tecnologiche, come se esistesse una vera e propria dipendenza dal BlackBerry. È sempre più difficile spegnere questi dispositivi anche quando si è in vacanza e ciò implica in buona parte l'impossibilità di staccare la spina veramente. Il direttore dell'Istituto nazionale sugli abusi americano spiega che questa stimolazione costante può attivare le cellule dopaminergiche nel nucleo accumbens, il principale centro del piacere cerebrale. Con l'utilizzo costante di queste tecnologie di comunicazione sembra che si stia verificando un vero e proprio cambiamento del cervello: uno studio condotto in Cina su 18 studenti di college che trascorrono circa 10 ore al giorno on-line, studiati con la tecnica della risonanza magnetica, confrontati con un gruppo di controllo che trascorre meno di due ore al giorno davanti al computer, hanno mostrato di avere una minore quantità di materia grigia che rappresenta la parte pensante del cervello. Gli esperti quindi stanno correndo ai ripari suggerendo consigli come il tenere il conto del tempo trascorso on-line in una sorta di diario e, quando ci si rende conto di esagerare definire il tempo massimo di permanenza on-line che non deve comunque superare due ore. Altra indicazione è quella di prendersi qualche minuto per guardare fuori dalla finestra un'attività apparentemente inutile ma che gli esperti dicono possa aiutare ad allenare il cervello a rallentare. Obbligarsi poi a vivere alcune ore liberi dal computer l'iPhone o il BlackBerry innanzitutto spegnendoli la notte e possibilmente tenendoli chiusi per almeno un paio di ore al giorno resistendo alla tentazione di verificare continuamente messaggi ricevuti. Se non si possono incontrare gli amici poi si può ricorrere alla cara vecchia telefonata, chiamando almeno tre amici ogni giorno con cui fare due chiacchiere e disintossicarsi dal computer. Il center for Internet and technology addiction ha messo in rete un test che può aiutarvi a determinare il vostro grado di dipendenza dalla tecnologia e indurvi a cercare dei rimedi per "staccare la spina".

venerdì 17 giugno 2011

Lasciatemi sognare...

Solo pochi giorni, poche ore, poi tornerò in me, poi tornerò la persona matura che sono e non vi inganni l'abito postato, non sono i fiori d'arancio il mio sogno, ma di essere una principessa si. E una principessa che si rispetti ha un abito voluminoso, l'aria radiosa e gli occhi trasparenti di gioia, proprio come me. Una luce che viene dal profondo, dalla speranza. Alle volte hai bisogno di una nuova occasione per cancellare un dolore o una delusione. E io vorrei riscrivere la storia. Non so se poi possono essere felici, ma contenti si e comunque ho deciso di lasciare che la vita mi sorprenda. Sto seguendo completamente il mio istinto, come forse solo alla mia età si può fare, perchè lo conosci bene e sai che ti puoi fidare. Quel che accadrà sarà accettato e accolto, qualsiasi cosa sia anche una delusione, ma avrò vissuto, e sognato e lo terrò nel cuore. E chi se lo aspettava?

giovedì 16 giugno 2011

Sempre più...libellula

Il che non vuol dire 'farfallona' ma 'leggera'. Mai stata in vita mia peraltro, sempre un macigno di pensieri, parole e opere. Invece ora, ormai sicura di me, posso svolazzare e creare cose nuove. Stabilizzata emotivamente e psicologicamente posso volare. Niente mi assomiglia come la libellula in questi anni. Poch che cresce e io che affronto le cose con un sorriso e la dolcezza, io che lascio correre, io che ho imparato ad aspettare che le cose accadano senza forzarle. Nel frattempo volo su un fiore di ortensia, passo ad annusare la lavanda, creo, la mente fertile di progetti ambiziosi e ricchi di ispirazione. Una primavera della mente. Ho aperto i cassetti dei sogni, li ho spolverati, lucidati e messi sul ripiano più illuminato per guardarli, non dimenticarli. Io mio sogno ha gli occhi scuri e profondi. Avevo dimenticato di avere dei sogni. Son tornati.

Senza etichette

Senza etichette nè definizioni, è la prima volta che in 40 anni riesco ad evitare di definire le cose ed ha un sapore nuovo, di grande libertà. Io la rigida, io l'implacabile, io l'integralista dei sentimenti. Eppur, probabilmente, si cresce ed ora va così, senza una meta precisa, senza un progetto, navigare a vista il che non significa senza un sentimento profondo. Libertà assoluta di gestirsi, come e quando, nessuno che si offende o che mette il muso. Libertà data dalla sicurezza dell'affetto e del rispetto. Il mio compagno di viaggio è persona assolutamente rigorosa, tutto d'un pezzo, mi affido, chiudo gli occhi e gli do la mano, mi lascio portare, dovunque lui desideri perchè so che il suo pensiero è farmi felice. Un legame destrutturato ma non per questo debole, al contrario. Un legame in cui si attraggono i simili, molto simili. Ti adoro e lo sai.

martedì 7 giugno 2011

Stati Uniti: una nazione medicalizzata



Per Alessandra il tutto è cominciato con un'insonnia. Nel 93 aveva problemi di coppia e il suo matrimonio non andava fatto bene. L'ansia la assaliva la notte così il suo medico di base le prescrisse delle pillole per dormire, i farmaci funzionavano benissimo Alessandra si sentiva rilassata e dormiva molto meglio, ma dopo alcune settimane iniziarono a insorgere nuovi sintomi. Inizialmente si sviluppò una bronchite e un'infezione polmonare così lo pneumologo le prescrisse un antibiotico ma durante la cura la donna accusò delle anomalie del ritmo cardiaco e si rivolse così ad un cardiologo che dopo alcuni test decise di somministrare un farmaco per l'aritmia. In aggiunta si svilupparono sintomi che resero necessaria una cura neurologica, innescando il ritorno dell'insonnia è una serie di disturbi che sfuggivano al controllo. Il tutto si tradusse in una temporanea disabilità che diede origine ad una forma di depressione. Un caso non del tutto raro, dove i medici che curavano la donna non si parlavano tra loro. Alessandra arrivò a spendere $ 900 al mese, assumeva 12 differenti tipi di farmaci per un totale di centinaia di pillole ogni mese. "Si era verificata una moltiplicazione delle prescrizioni" dice. Non è raro che i pazienti che ricevano prescrizioni multiple da differenti specialisti, ognuno focalizzato su uno specifico sintomo, ma ciò è potenzialmente pericoloso. Il primo rischio è quello di incorrere in una lunga serie di effetti avversi che si potenziano negativamente l'un l'altro. La Kaiser Family Foundation ha rilevato in un rapporto che l'uso di farmaci negli Stati Uniti continua ad aumentare e che il numero di prescrizioni è aumentato del 39% tra il 1999 il 2009 fino a raggiungere la spesa di 234 miliardi di dollari nel 2008. In media ogni americano assume almeno 12 farmaci diversi. La maggior parte dei farmaci inoltre vengono approvati per un uso singolo e quindi è impossibile predire quali effetti avversi possono manifestarsi dalla combinazione tra più molecole. È necessario allora allertare i pazienti sia dei rischi che dei benefici di alcune delle più comuni molecole somministrate. La maggior parte dei farmaci funziona benissimo ma troppe molecole possono interagire negativamente tra loro. Gli esperti suggeriscono di tenere una lista di tutti i farmaci assunti e di mostrarla al medico ad ogni visita. Alessandra si rese conto dell'effetto dei farmaci non solo dai sintomi ma anche dal proprio aspetto: la sua pelle era grigia, aveva dolori ovunque e la qualità della sua vita era crollata. Dopo circa 10 anni ha deciso di seguire un programma di disintossicazione e riabilitazione. Nella sua condizione, ci sono milioni di americani anche giovani.

giovedì 2 giugno 2011

Cervello di riserva o 'della riserva cognitiva'


Oggi vi voglio raccontare la storia di Suor Bernadette, che faceva parte di una ricerca effettuata da David Snowdon dell'Università del Kentuky nel 1986. In questo progetto di ricerca le suore appartenenti al convento delle School of Sisters of Notre Dame erano periodicamente sottoposte a dei test mentali, come ad esempio quanti animali riuscivano a ricordare in un minuto, quante monete contavano correttamente, ed altre test cognitivi.
Le suore furono seguite nel corso di molte molti anni e accettarono di donare il cervello alla scienza dopo la loro morte.
Suor Bernadette si rivelò un caso molto particolare: in gioventù si era laureata, aveva insegnato alle scuole elementari per 21 anni e alle superiori per altri sette. Dopo gli ottant'anni aveva superato brillantemente qualunque test cognitivo e a 85 anni morì d'infarto: come da disposizioni il cervello fu inviato in laboratorio per essere analizzato e a prima vista sembrava un encefalo in buona salute. Solo dopo ho l'analisi al microscopio il professor Snowdon scoprì che il morbo di Alzheimer era ovunque e le placche intasavano sia l'ippocampo che la neocorteccia e raggiungeva i lobi frontali mostrando che nella scala di gravità suor Bernadette raggiungeva il livello 6, considerato il massimo grado di malattia. Questo suscitò non poca sorpresa perché nonostante le placche di malattia, le sue funzioni cerebrali erano perfettamente conservate come se nel suo passato il cervello avesse trovato una protezione dalla demenza. Analogo il caso di un anziano professore di Londra soprannominato “lo scacchista”, che notò un un certo declino mentale: mentre da giovane riusciva a calcolare sette mosse del gioco in anticipo, con l'età anziana scoprì di calcolare in anticipo solo quattro mosse. Si rivolse allora l'Istituto di neurologia dell'University College di Londra e dopo una batteria di test per individuare la demenza e una TAC lo rimandarono a casa senza diagnosi di malattia. Quando qualche anno dopo il professore morì, l'autopsia rivelò che il suo cervello era pieno di placche e di aggregati di neurofibrillari tipici dell'Alzheimer: il professore era affetto da una forma di demenza senile avanzata, ma per anni non aveva mostrato alcun segno esteriore della malattia. Queste straordinarie scoperte, alle quali si sono aggiunti altri casi, hanno portato alla definizione dell'esistenza di una “riserva cognitiva” ossia la possibilità di funzionare nonostante la malattia. I dati furono confermati da uno studio di Robert Katzman che nel 1988 studiò un gruppo di anziani residenti in una casa di riposo. Un gruppo di pazienti, pur presentando delle lesioni istologiche tipiche della malattia di Alzheimer, erano funzionalmente e cognitivamente efficienti quanto quelli del gruppo di controllo. L'analisi di questi risultati, confrontata con i fattori di rischio quelli protettivi, hanno hanno mostrato che il maggiore fattore di capacità mentale extra è l'istruzione che offre una protezione generale nei confronti del cervello. Il che non gli impedisce di danneggiarsi, ma lo protegge dalle manifestazioni esteriori della malattia. Le ipotesi su come l'istruzione agisca e ancora ha poco chiara la giornalista ha americana Gina Kolata sostiene che l'istruzione insegna la gente a rimandare la gratificazione e quindi a rinunciare ad abitudini negative come un'alimentazione troppo ricca di zuccheri e grassi o al fumo. Personalmente invece sostengo che l'istruzione rappresenti una vera è propria palestra per i giovani neuroni che imparano a reagire agli stimoli e si allenano ad una plasticità che può essere recuperata in età anziana.
Uno scienziato del Columbia College di New York studiò e pubblicò la sua ricerca nel 1994 scoprendo che le persone che avevano studiato per meno di otto anni da ragazzi avevano una probabilità doppia di andare incontro alla demenza. Allo stesso modo funzionavano le attività stimolanti cerebrali quindi la scrittura la lettura, la ricerca, l'elaborazione di informazioni ma anche attività del tempo libero come passeggiare, far visita agli amici, diminuivano del 38% il rischio di ammalarsi di Alzheimer. Un altro studio a lungo termine ha fatto emergere che le persone che avevano un rapporto molto ricco con il loro ambiente godevano di un minor declino intellettuale in un lasso di 14 anni, al contrario di quello che accadeva con un gruppo di vedove che non aveva mai lavorato e che faceva una vita solitaria. Sembra quindi dimostrato che avere un'attività intellettuale vivace e una vita sociale intensa influisca sulle nostre prestazioni mentali e rappresenti una protezione per la vecchiaia.
Nonostante queste evidenze è possibile continuare a coltivare la riserva cognitiva perché ormai sappiamo che l'esperienza altera in positivo le funzioni e le strutture cerebrali. Ci si può allenare: impegnandosi in attività fisiche e mentali che prevedano un discreto livello di problematicità e difficoltà è possibile attivare la neuroplasticità. Per approfondire di consiglio la lettura del libro “I tuoi anni migliori devono ancora venire" edito dai tipi di Mondadori.

Due cervelli is meglio che uno...

Si chiama 'bilateralizzazione' ed è una delle più affascinanti scoperte del cervello adulto, di mezza età. Dopo decenni in cui si credeva che il cervello di mezza età fosse condannato ad un innarestabile declino, le più moderne ricerche e indagini di imaging cerebrale hanno dimostrato che le cose non sono affatto così. Lo spiega Barbara Strauch nel suo libro "I tuoi anni migliori devono ancora venire" (Mondadori) che ho letto tutto d'un fiato per capire cosa potrebbe succedere alle mie facoltà cognitive tra una quindicina d'anni. Ebbene, ad un certo punto sviluppiamo la capacità di utilizzare entrambi gli emisferi cerebrali per risolvere i problemi. E' come - dice l'autrice - sollevare una sedia con entrambe le mani. E' sintomo di abilità nel risolvere un problema e non una debolezza. Le ricerche inoltre hanno rivelato che sono proprio i cervelli più brillanti a usare questo espediente, quindi non ci limitiamo ad accettare passivamente non essere efficienti ma mettiamo in campo nuove facoltà usando al meglio quello che abbiamo. Prima delle tecniche di scamsione gli scienziati pensavano che anche il cervello 'andasse in pensione' attivando meno neuroni. Niente di così falso: quello che avviene è invece una iperattivazione, negli studi che prevedevano compiti analoghi svolti da giovani e anziani Cheryl Grady dell'Università di Toronto ha scoperto che i soggetti anziani svolgevano gli stessi compiti attivando più neuroni, ma soprattutto si attivava la potente corteccia prefrontale. Analoghi risultati si sono avuti quando a due gruppi (giovani verso anziani) è stato chiesto di imparare gruppi di parole e poi ricordarli. Come previsto, i giovani usavano solo il lato sinistro dei lobi frontali per apprendere e il lato destro per ricordare, mentre gli anziani attivavano entrambi gli emisferi per il compito complesso di riportare alla memoria. Visto che per svolgere un compito sarà necessario impegnare molte funzioni e altrettante energie, dovremo rinunciare al multitasking che già è stato rivalutato e considerato un fattore non poi così positivo.
Sono i cervelli più svegli, più allenati a studiare ed essere curiosi, che mettono in campo le risorse migliori: gli anziani che usano un emisfero per volta sono quelli con capacità cognitive più scarse e, si è scoperto che un fattore determinante è l'istruzione da giovani e l'aver continuato a studiare e leggere per buona parte della vita. Lo studio infatto crea una impalcatura di neuroni attivi e svegli che rimane come patrimonio per tutta la vita. Ad esempio è stato dimostrato che gli anziani bilingui mostravano un minore declino cognitivo in età avanzata. L'istruzione è quindi un fattore protettivo molto potente, è collegato a vita più lunga e alla protezione da molte malattie neurodegenerative, e influisce più della razza e del reddito, probabilmente perchè lo studio stimola i neuroni a reagire agli stimoli e allena la plasticità. Il resto? Lo racconterò in un altro post dove parlerò della straordinaria "riserva cognitiva".

La notte ti fa bella

Che una buona notte di sonno con le ore giuste facessero apparire più sani, in forma, attenti e ristorati si sapeva, ma i ricercatori del Karolinska Institute hanno fatto di più e hanno cercato conferma con uno studio scientifico. Non solo dormire abbastanza fa bene all'umore e alle prestazioni cognitive ma è il più economico ed efficace trattamento di bellezza. Hanno quindi arruolato 23 tra uomini e donne, li hanno fatti dormire 8 ore e fotografati. Nella seconda fase li hanno fatti dormire solo 5 ore e al risveglio li hanno di nuovo messi davanti alla macchina fotografica. Poi hanno selezionato 65 persone alle quali hanno mostrato le foto chiedendo di valutare quento fossero attraenti, stanchi, sani e riposati e se riscontrassero differenze tra le due foto. Ebbene, i soggetti che avevano dormito solo 5 ore apparivano nel 19% dei casi più stanchi, nel 6% dei casi meno sani e nel 4% meno attraenti. Sin qui non è roba da prima pagina di Science ma talvolta più che creme e sieri da centinaia di euro basterebbe mettersi sotto le lenzuola presto e concedersi il meritato riposo per avere una pelle tesa, un contorno occhi senza borse e un aspetto generale più attraente. Questo perchè con il giosto numero di ore i muscoli del viso hanno il tempo di rilassarsi, mentre la contrazione costante è responsabile di quelle che vengono chiamate rughe dimaniche. Inoltre la notte è il momento ideale per la rigenerazione dei tessuti anche grazie alla diffusione di sangue ossigenato nei tessuti facciali. Inoltre l'ormone della crescita che influenza anche la bellezza e i processi riparativi cellulari, segue ritmi circadiani e viene rilasciato preferibilmente durante la notte, attuando una azione di auto riparazione. Insomma, la notte ci fa belle e, se possibile, anche un sonnellino pomeridiano in un posto comodo, ombreggiato e silenzioso. Basta poco.