martedì 5 giugno 2007

Il cervello dipendente


Luigi Pulvirenti
Il cervello dipendente
Salani Editore
2007

La dipendenza non è una debolezza ma una malattia. Questo l’assunto su cui si basa questo esauriente testo in cui Luigi Pulvirenti, professore di Neurofarmacologia a San Diego, neurologo e ricercatore delle basi neurochimiche del comportamento è intervistato da Maria Rita Parsi in una inconsueta veste giornalistica per la collana della Fondazione Movimento Bambino da lei diretta.
Tra tutti quelli disponibili questo è uno dei libri più accessibili sulle dipendenze, parola tanto diffusa quanto inquietante che denota universi vari e sfaccettati. Possiamo infatti essere dipendenti da altre persone, dall’amore, da una sostanza o da una attività come navigare su internet o giocare d’azzardo. Situazioni che possono rappresentare un vago disagio o sfociare in una vera e propria malattia. In realtà siamo dipendenti anche da cose che non ci fanno male, come il cibo e l’acqua che ci servono per la sopravvivenza, quindi dobbiamo cominciare a distinguere la dipendenza come la naturale attitudine del nostro organismo a mantenersi in forma e l’”addiction”, termine con cui si denota la dipendenza negativa. E’ negativa quella che non si controlla, una vera e propria malattia cronica. Il cervello può essere dipendente, lo accennavamo, anche da attività apparentemente innocue e così i due studiosi vanno alla ricerca dei più importanti studi sull’anatomia di questo cervello. La dipendenza – dicono – è prima di tutto immobilità; una prigione con sbarre d’acciaio che ci era apparsa all’inizio come uno spazio sconfinato. Una persona, una sostanza una pillola colorata che ci hanno fatto promesse o ci hanno accolto senza chiedere nulla in cambio. Ci hanno donato un sollievo che però presto si tramuta in prigionia, nel non poterne più farne a meno, l’esatto contrario della libertà che prevede una scelta. Il momento più critico in cui si possono fare questi ‘incontri’ è proprio quello del distacco dalla famiglia di origine, il momento, fisiologico, dell’autonomia, ma anche della ricerca di una sfida che possa rendere più liberi. La porta verso l’esterno quindi deve essere lasciata aperta perché se non puoi muoverti liberamente rischi di sviluppare un fortissimo senso di colpa verso ogni forma di desiderio, ma se nessuno ti tiene o se sai che a nessuno interessa che torni, alla fine proverai rabbia e malessere. Un processo delicato e complesso, ma è necessario sapere, conoscere, orientarsi. Un libro che farei leggere anche ai ragazzi, in grado di capire e di ragionare con la propria testa più di quanto vogliamo loro attribuire.
(j.r.m.)

1 commento:

Giulianissima ha detto...

Un primo passo per uscire da una dipendenza è riconoscerla come tale, poi deve seguire un'analisi del perchè si è arrivati ad essa. Non è facile, perchè una dipendenza è determinata da tanti fattori: ambientali, culturali, sociali, economici. E poi la dipendenza porta a un beneficio che viene percepito con immediatezza, gratifica in breve tempo, anche se altrettanto velocemente produce frustrazione, ricerca di altra gratificazione, altra frustrazione e così via, in un circolo vizioso pericoloso. Credo che dovremmo essere tutti più presenti a noi stessi e consci delle nostre debolezze, per attaccarle quando ci nuociono, o accettarle quando ci caratterizzano.

saluti