giovedì 15 marzo 2007
Mi piace: "coccole in corsia"
Una psicologa americana rivoluziona l’approccio della terapia intensiva neonatale e sogna di eliminare gli incubatori sostituendoli con le “womb-rooms”, stanze controllate dove anche i bambini prematuri possano riposare sul seno della madre
Lucca, 15 marzo 2007 - Un bambino prematuro è un neonato speciale, un esserino fragile catapultato troppo presto in un mondo fatto di aria, suoni, persone. Nel reparto di terapia intensiva, attraverso cure d’avanguardia, i medici cercano di accompagnare questi piccoli verso la maturazione che non hanno potuto raggiungere nell’utero materno, cercando di ridurre al minimo il rischio sempre presente di gravi danni cerebrali. Ma l’high-tech che regna nella terapia intensiva per Heidelise Als, del Children’s Hospital di Boston, non è ancora abbastanza. “E’ normale che in questi reparti ci sia rumore, luce, persone cha vanno e vengono” spiega la Als durante il convegno “Perinatal brain damage: from pathogenesis to Neuroprotection” organizzato a Lucca dalla Fondazione Mariani “ma non si deve dimenticare che questi bambini non sono pazienti normali, avrebbero dovuto stare ancora nel liquido amniotico, riposare a lungo e al buio, ricevere rumori attutiti e sentire il battito del cuore della madre”.
La Als spiega che questi bambini sono così ipersensibili che ogni sollecitazione ambientale per loro è quasi un trauma. In oltre 30 anni di studio sulla “care” del bambino prematuro, Heidelise Als ha pubblicato una serie di lavori scientifici che dimostrano come un approccio personalizzato, fatto di accorgimenti in reparto ma anche di particolare attenzione verso il linguaggio del corpo, sia in grado di alleviare le ipersollecitazioni, e contribuire a ridurre gli esiti lungo termine della prematurità, tra i quali le difficoltà cognitive. Per questo, nel suo progetto NIDCAP (Newborn Individualized Care and Assessment Program) presso la Harvard Medical School, ha imposto una serie di norme per gli operatori delle unità di terapia intensiva per mettere questi piccoli pazienti a proprio agio. Luci smorzate, orari di pasti e cure organizzati in modo da ridurre la presenza di personale, una coperta sull’incubatrice che garantisce ai piccoli la possibilità di riposare in un “nido” di lenzuola appoggiate ad arte al loro corpicino, e soprattutto, contatto dolce e frequente con la madre.
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