lunedì 5 dicembre 2011
Instabile e impulsiva
E' evidente che ogni tanto perdo il controllo del mio umore e delle mie emozioni che in qualche modo si prendono gioco di me. In un momento in cui non so granchè del mio futuro anche le ultime cime si sciolgono e mi portano verso una strana deriva. Ho fatto il mio dovere ma in questo caso non so se sono stata ricompensata. In realtà essendo nata sotto il segno di un tradimento e di un abbandono questo segno rimane in me per sempre. E' come una cicatrice incancellabile. Forse negli anni si sta schiarendo, sta diventando più trasparente ma quello che so è che io non mi fido di me. Perchè sono stata troppo ingenua, troppo idealista, troppo sicura. E ho sbagliato e alla fine ho dovuto ammetterlo e come posso fidarmi ora di quello che provo? Sono ormai convinta che sia solo una gradevole illusione e quindi non mi abbandono più. Troppo grande per farlo. Conosco troppe cose di come funziona il cervello e di come ci comandano gli ormoni per fidarmi dei 'sentimenti' che sono così effimeri e labili. Preferisco una calma serena, anche priva di emozioni che non siano quelle genitoriali e professionali. Non l'ho scelto, è così, io di quella cosa che cantano tutti non mi fido più e non mi ci affido. Non ritengo che solo essa dia il senso all'esistenza, ci sono milioni di altre cose più profonde, la solidarietà, l'amicizia, la maternità, il lavoro che ami. Tutto il resto è qui ed ora e non riesco più a farci un progetto e a credere che si possa far girare una esistenza intorno al fulcro di una illusione.
martedì 22 novembre 2011
L'ultima lacrima
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Lo diceva anche Carmen Consoli che a me, siciliana e con quella voce così particolare è sempre piaciuta. Il problema è forse che io di lascrime ne ho sempre meno, così con la capacità di emozionarmi e commuovermi. Forse nasciamo con un numero programmato sia di ovuli da fecondare che di lacrime da versare e io le mie temo di averle finite. Ce ne sono state tante anche non versate, che nonostante il cuore spezzato non ne volevano sapere di scendere e sono, semplicemente evaporate. Ma anche le persone più forti possono avere un momento in cui non cadono, ma certamente vacillano. Momenti in cui quando non riescono a tenere le redini sentono che il cavallo ha preso il galoppo e li porta dove vuole lui. Spesso di nuovo nella stalla perchè il cavallo torna sempre a casa. Ecco, io ho smarrito la casa e ho perso un filo di certezze. Succede sempre in questo periodo dell'anno. Ma la cosa più strana è che quella persona che mi guarda dalle foto io non la riconosco, quasi non so chi sia. Forse il profumo della Lampe Bergère mi ha dato alla testa e serve un po' di sole per scaldare il cervello e tornare a farlo funzionare. Ho di nuovo bisogno di ordine, di cose che girano e funzionano regolari. Sarà per questo che mi piacciono gli orologi e i metronomi. Non so se reagire o abbandonarmi e aspettare che passi questa malinconia in cui non so cosa mi manca. Farò così, lascerò che sia il cavallo a decidere che col suo istinto, forse, ne sa molto più di me.
martedì 15 novembre 2011
C'è da fare...
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Ci sono state, e ci sono ancora, diverse cose da fare e altrettante da capire. E' tempo di sistemare, cambiare e assestare. E' tempo di mettere a posto le cose e cominciare qualcosa di nuovo. Mettere a frutto l'esperienza, avere nuovi stimoli, accettare una nuova sfida. Per accelerare bisogna prima rallentare, riprendere fiato. E poi tra poco è Natale e qui lo prendiamo molto sul serio tanto che la mia personale aspirazione sarebbe un mese sabbatico tutto di palline rosse, gocce di cristallo e nastrini sui pacchetti. E ancora la nostalgia per il mio posto del cuore, quello dove l'aria sa di legna bruciata ma non c'è mai il tempo per andare. Insomma, momento così, un po' disordinato, del cambio di stagione, anche psicologica. Ma intanto...si pensa e si legge, tanto, tantissimo, si cercano ispirazioni e si coltivano nuovi interessi come quelli per le tecniche di interrogatorio legale. Potrebbe servire, sai mai...
sabato 8 ottobre 2011
domenica 2 ottobre 2011
E se fosse...
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lunedì 26 settembre 2011
Del 'rifarsi una vita'
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Poche frasi al mondo mi urtano come quella che cita di 'rifarsi una vita' dove, con questa definizione è indicato il trovare un uomo (o una donna) dopo una rottura amorosa, che sia un relazione o un matrimonio. Sancisce, senza appello, la nostra presunta incompletezza, metà di una mela altrimenti scipita. Riparsi una vita significa trovare un altro compagno e ricominciare a fare progetti. Ora, mi domando e dico perchè non sia possibile avere una vita piena e completa senza un uomo accanto. Perchè non possiamo 'avere una vita' propria e appagante, perchè siamo destinati ad una ricerca ossessiva che diventa un imperativo categorico sociale, come quello che una donna di trent'anni debba fare i figli e una divorziata di 40 senza un nuovo compagno sia una povera infelice. Sinceramente la cosa mi ha sempre dato sui nervi, anche perchè temo che alla base di questa pressione ci sia una forma di protezione sociale da parte di quelli che stanno in coppia. La persona appagata anche da sola, si suppone avere una vita sessuale e affettiva che potrebbe rappresentare una minaccia, meglio allora esortare alla coppia che dovrebbe mantenere la sua sessualità al proprio interno. Roba d'altri tempi vista la liquidità dei legami e la mancanza di significato che oggi ha la parola fedeltà. E allora viva le persone, donne e uomini, che, con figli o senza, stanno bene anche da soli per un periodo o anche per sempre. Perchè a ben sentire, quelle che la vita se la sono rifatta, con un secondo compagno o anche un terzo, non sono mica tanto contente. Raccontano del peso di una casa sulle proprie spalle, di mariti poco collaborativi, del desiderio di avere spazi di silenzio e solitudine, di sentirsi sempre schiacciate dalle richieste alle quali non hanno più voglia di aderire. Insomma, sostengo che 'rifarsi una vita' debba significare unicamente stare bene con se stesse, non vivere nella smaniosa ricerca di un compagno purchè sia o del grande amore studiato a tavolino, che sia straordinariamente bello stare con i figli, avere il lettone tutto per sè e magari concedersi un amante nei week end. Poi se la persona giusta arriva, ben venga, il cuore si apre e dentro di sè si trova spazio anche per un altro essere umano. Ma che altrimenti non sia una vita, questo no, non ci sto.
venerdì 19 agosto 2011
La variabile dell'amore ed altre questioni
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Le conseguenze delle scelte. Tutto ciò che facciamo ne ha. Anche il silenzio, anche il non fare, il non scegliere, il non comunicare. Su di noi, va da sé, ma anche sugli altri. E' a questo che dobbiamo prestare attenzione. A quello che le nostre scelte provocano alla vita degli altri. Perchè il margine tra la nostra libertà e il danno è molto labile. Non siamo poi così liberi. E', o dovrebbe, una mediazione continua. E poi la variabile dell'amore, che ci fa fare lieti ciò che non ci andrebbe proprio. E quanto invece possiamo decidere nel nostro corpo, del nostro essere, senza danneggiare chi amiamo? L'etica della decisione. Possiamo anche mangiare male, ingrassare, ammalarci e ridurci in un fondo di letto se siamo soli, ma non possiamo obbligare chi ci ama, indirettamente, ad accudirci o a soffrire, non possiamo limitare la sua esistenza. Avremmo invece l'obbligo morale di essere in buona salute, per non pesare sugli altri. Ben poche cose sono accidentali e qualche teorico (Groddek) sosterrebbe che anche l'incidente casuale è in realtà, in qualche modo, provocato. Chi paga le nostre scelte? Chi si assume il costo dei nostri errori?
Siamo liberi solo se siamo soli, non amiamo nessuno e nessuno ci ama. Allora, a parte un eventuale costo sulla società, che è anonima e quindi non ci induce un particolare senso di responsabilità, possiamo anche fregarcene. Ma quando hai qualcuno accanto non ti puoi permettere di non volerti bene. E' singolare verificare come per fare male agli altri si usi la strategia del far male a se stessi. Una violenza indiretta e deflagrante. Bisognerebbe allora avere il coraggio di sottrarsi. Di girare le spalle e andare via quando qualcuno che si ama si danneggia per ferirti. Una forma di perversione. Il male diretto sarebbe troppo palese, si potrebbe incolpare, recriminare, ma se io faccio male a me, ti ferisco in modo irreparabile perchè ti getto sulle spalle il senso di colpa, il dubbio che sia colpa tua, ti creo il dolore dall'interno, scaturisce da te, da un dubbio. Io non ti instillo nulla, non viene da me che divento una vittima. Obbrobrio. Hai pensato a tuoi figli? Hai pensato a cosa li condanni? Ogni genitore che si fa del male li condanna. Nel loro cuore ci sarà sempre il dubbio della responsabilità. Si è ucciso per colpa mia? Sta male per colpa mia? E' andato via per colpa mia? No, è solo egoismo puro, una delle più pure forme di MALE. Gli individui egoisti vanno isolati perchè non sono funzionali alla specie e alla società, siamo animali da branco e dobbiamo cooperare per il bene comune. Chi è egoista va isolato e abbandonato, come fanno i branchi quando abbandonano gli individui vecchi e malati perchè mettono a repentaglio la sopravvivenza di tutti. Pensiamo ad esempio a chi ha contratto malattie evitabili per comportamenti sconsiderati e chiede alla società di pagare il costo delle sue cure, spesso croniche. Hai fumato tutta la vita e ora hai un tumore ai polmoni? Allora le cure te le paghi da solo. Discorso duro ma non del tutto di nicchia se è vero che begli Stati Uniti si eliminano dalle liste trapianti i soggetti giovani obesi o malati di Aids perchè non farebbero buon uso di un organo. Purtroppo, sono d'accordo.
Siamo liberi solo se siamo soli, non amiamo nessuno e nessuno ci ama. Allora, a parte un eventuale costo sulla società, che è anonima e quindi non ci induce un particolare senso di responsabilità, possiamo anche fregarcene. Ma quando hai qualcuno accanto non ti puoi permettere di non volerti bene. E' singolare verificare come per fare male agli altri si usi la strategia del far male a se stessi. Una violenza indiretta e deflagrante. Bisognerebbe allora avere il coraggio di sottrarsi. Di girare le spalle e andare via quando qualcuno che si ama si danneggia per ferirti. Una forma di perversione. Il male diretto sarebbe troppo palese, si potrebbe incolpare, recriminare, ma se io faccio male a me, ti ferisco in modo irreparabile perchè ti getto sulle spalle il senso di colpa, il dubbio che sia colpa tua, ti creo il dolore dall'interno, scaturisce da te, da un dubbio. Io non ti instillo nulla, non viene da me che divento una vittima. Obbrobrio. Hai pensato a tuoi figli? Hai pensato a cosa li condanni? Ogni genitore che si fa del male li condanna. Nel loro cuore ci sarà sempre il dubbio della responsabilità. Si è ucciso per colpa mia? Sta male per colpa mia? E' andato via per colpa mia? No, è solo egoismo puro, una delle più pure forme di MALE. Gli individui egoisti vanno isolati perchè non sono funzionali alla specie e alla società, siamo animali da branco e dobbiamo cooperare per il bene comune. Chi è egoista va isolato e abbandonato, come fanno i branchi quando abbandonano gli individui vecchi e malati perchè mettono a repentaglio la sopravvivenza di tutti. Pensiamo ad esempio a chi ha contratto malattie evitabili per comportamenti sconsiderati e chiede alla società di pagare il costo delle sue cure, spesso croniche. Hai fumato tutta la vita e ora hai un tumore ai polmoni? Allora le cure te le paghi da solo. Discorso duro ma non del tutto di nicchia se è vero che begli Stati Uniti si eliminano dalle liste trapianti i soggetti giovani obesi o malati di Aids perchè non farebbero buon uso di un organo. Purtroppo, sono d'accordo.
Le ore delle donne
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Sono quelle poste ai limiti estremi della giornata, spesso di primo mattino, quando respiro dei bambini ancora lieve, la casa immersa in un silenzio sospeso. Le donne in camicia da notte sorseggiano lentamente un caffè appena fatto, e con una mano sistemano fili colorati, spianano tele, scelgono abbinamenti. Sono le ore di libertà che rubiamo alla miriade di impegni che abbiamo scelto ogni giorno. Sono ore di lavoro solitario in cui creIAMO piccoli capolavori. Cuori, fiorellini, forme di legno sbiadite di bianco, tortora e grigio, rosa, molto rosa. Ore in cui lavoriamo a ciò che amiamo davvero, ad un lavoro che non avrebbe prezzo sul mercato perchè fatto con le amni, di lunghe ore prima di indossare il tailleur e la borsa di Prada alla moda. Ore in cui siamo, diventiamo le nostre madri, le nostre nonne. In cui personalmente ricamo cuori dai delicati ramage, apine, fiori, orchidee sfacciate, violette timide, tulipani assorti. Ore del mattino presto, quello delle vacanze in cui la vista dalla finestra sono i rami della quercia secolare e l'unico rumore quello di uccellini affamati che reclamano la colazione. Tutti dormono, solo il gatto nero apre un occhio senza capire il perchè di tanto ardore. Sono le ore in cui le donne si dedicano alle loro piccole passioni che di solito sono fatte da mani operose e sapienti. Un sapere antico, tramandato dalle donne. Fili e aghi, cotone e lana, cachemere quando si può. Si sfornano presine per il forno, asciugamani, le più brave lenzuola con le iniziali eleganti, quasi nobili, da lasciare alle figlie, se si è avuta la lungimiranza di chiamarle con un nome che avesse la stessa iniziale. E poi iniziali ovunque e cuori, cuori sempre, di ogni foggia e dimensione, di ogni materiale. Sono arrivati ieri quelli di legno, con un allegro fiocco a quedretti e hanno ispirato quelli di lino bianco, fatti con un vecchio paio di bermuda ormai stretto. Mi piace anche l'idea che i vecchi vestiti si trasformino, divcentino piccoli oggetti di arredamento, che non tutto venga gettato ma che trovi nuova vita. Così i ricordi rimangono, come i bermuda della vacanza in Sardegna quando il Micio era piccolo che ora sono un cuore imbottito di emozioni. Le ore delle donne sono le più belle della nostra vita e stamane, punto dopo punto, recito un 'eterno riposo' per la mamma di un'amica che non c'è più.
mercoledì 27 luglio 2011
Prendi il cliente...per il naso
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Meno crisi, più divorzi
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Mancata...
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lunedì 27 giugno 2011
Coltivare la pazienza
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Mi sto rendendo conto in questi anni che la vita non è altro che un susseguirsi incessante di rogne e sollievi. O almeno così è la mia e quella di molte persone che conosco. La stabilità è dentro, se ad esempio vivi senza che ti tremino le gambe all'idea della solitudine. Per il resto i fatti ti mettono continuamente alla prova e così le persone. L'amicizia e l'amore sono un continuo compromesso tra cose che puoi accettare e cose che non riesci e anche qui il conflitto è continuo ed estenuante. Invece di remare contro quindi, si accetta, lo chiamano 'adattamento'. Ti abitui al fatto che alcune cose vanno bene e altre meno e godi di quelle belle, anche piccole, minuscole. Ho imparato anche che la serenità si nutre del poco, di sobrietà. Se hai quattro case da mantenere e manutenere hai il quadruplo di cose a cui pensare e forse il tempo bello che ci passi è inferiore a quello brutto in cui hai preoccupazioni. Se non hai macchine non temi che ti si rompano o le rubino. Insomma, gli OGGETTI sono in fondo un grande ostacolo al benessere. Bisogna quindi avere un lavoro che piace e possibilmente diverte, ampi margini di libertà per gli interessi personali, tempo per leggere e frequentare le persone che si amano, tempo per riflettere e personare senza passare sopra alle cose. Insomma, tempo. Il vero lusso. E poi la stabilità interiore, un minimo di autostima e una piccola quantità di denaro risparmiato per le emergenze. Mi ha profondamente colpita la storia di un barbone americano che sedeva agli angoli delle strade con un cartello davanti: 'I need nothing'. Se non è questa la felicità.....
sabato 25 giugno 2011
La sottile competizione tra amiche
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Anche le migliori possono cadere nell'errore della competizione. Specialmente se entrambe hanno la stessa età e la stessa condizione di 'singletudine' e allora capita che una pensa all'altra e l'altra pensa...a se stessa. Non sono tutte generose le donne, le più insucure hanno bisogno di credere di essere le più ammirate e desiderate, raccogliere tutti i complimenti, salvo non saper distinguere quelli sineri da quelli strumentali. E allora così l'amicizia è zoppa, asimmetrica. Eppur succede e anche tra quelle che dichiarano immenso affetto ma nei fatti non muovono un passo per agevolarti. Per fortuna non ho bisogno di nessuno e so ben presentarmi da me, ma alla lunga questa situazione di monopolio mi ha fatto capire con chi ho a che fare e mi sono un po' raffreddata. La donna insicura non prevede che gli altri possano avere interesse nemmeno per i loro 'scarti' e questo è davvero il colmo. Quello non mi piace ma preferisco che sia solo piuttosto che con la mia migliore amica. Migliore? E questa è una amicizia? E' invece il seme della competizione che ho sempre rifuggito. E il veleno dell'invidia che la porta a portar discredito ad un amico comune purchè io non mi illuda che possa avere interessi ancorchè professionali. Profonda delusione umana e ancor di più di fronte al fatto che tutte queste energie spese nel 'divide et impera' non portano a nulla per sè, se non una ricerca continua di qualcuno che possa placare l'insicurezza. Qualcuno che riconosca che esista, perchè una donna da sola non può esistere. Tutto il contrario di quel che ritengo io, ossia che bastiamo a noi stesse tanto quanto i maschietti e che una relazione abbia senso solo se di qualità e non per status. Alla ricerca di una identità che ti dà solo l'essere accompagnata e sposata col risultato di non vivere degli anni bellissimi e rimanere in una costante attesa. E allora anche il mio attaccamento, che si alimenta di reciprocità, scende e declassa al livello di amicizia e buona conoscenza, ma l'aggettivo 'migliore' sfuma via. Perchè la migliore amica è quella che cerca te e non aspetta solo che sia tu a prendere una iniziativa per frequentarti. Se ha trovato compagnia migliore buon per lei, se non ho bisogno di un compagno per stare bene, figurarsi se ho bisogno di una amica in più o in meno. Il bello della mia condizione è la totale assenza di dipendenze affettive. Chi c'è c'è, chi non c'è...è uguale. Io ballo da sola e mi diverto un sacco.
venerdì 24 giugno 2011
The "popcorn brain"
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Elena, il nome è di fantasia, è una giovane trentenne single che lavora in una multinazionale. Dal computer dell'azienda alla possibilità di connettersi in rete e andare su Facebook per mantenere alcuni contatti con gli amici anche durante le ore lavorative. Ma anche al ritorno a casa si connette con il portatile per svariate attività: postare qualche foto, inviare un simpatico tweet, mandare delle e-mail personali, eppure ci sarebbero molte altre cose da fare, più rilassanti, più piacevoli ma è come se il suo cervello avesse bisogno di una stimolazione costante e di comunicare sempre e ovunque. Gli scienziati lo hanno chiamato "pop corn brain” e riferiscono che il fenomeno è in crescita: anche persone che vivono nella stessa casa comunicano tra loro tramite chat, e si rimane in qualche modo mentalmente connessi la maggior parte delle ore di veglia. Purtroppo però i contatti tra persone in remoto stanno portando al singolare fenomeno di appiattire le emozioni e di non renderle più visibile sui volti: è difficile infatti interagire con uno schermo dove appaiono solo caratteri testuali. Inoltre le interazioni umane sono qualcosa che si apprende e sulle quali è necessario far pratica, quindi le amicizie sempre più virtuali hanno mostrato di impoverire le nostre capacità sociali. Anche gli esperti di dipendenza si sono accorti a loro spese che è molto difficile staccarsi dalle proprie estensioni tecnologiche, come se esistesse una vera e propria dipendenza dal BlackBerry. È sempre più difficile spegnere questi dispositivi anche quando si è in vacanza e ciò implica in buona parte l'impossibilità di staccare la spina veramente. Il direttore dell'Istituto nazionale sugli abusi americano spiega che questa stimolazione costante può attivare le cellule dopaminergiche nel nucleo accumbens, il principale centro del piacere cerebrale. Con l'utilizzo costante di queste tecnologie di comunicazione sembra che si stia verificando un vero e proprio cambiamento del cervello: uno studio condotto in Cina su 18 studenti di college che trascorrono circa 10 ore al giorno on-line, studiati con la tecnica della risonanza magnetica, confrontati con un gruppo di controllo che trascorre meno di due ore al giorno davanti al computer, hanno mostrato di avere una minore quantità di materia grigia che rappresenta la parte pensante del cervello. Gli esperti quindi stanno correndo ai ripari suggerendo consigli come il tenere il conto del tempo trascorso on-line in una sorta di diario e, quando ci si rende conto di esagerare definire il tempo massimo di permanenza on-line che non deve comunque superare due ore. Altra indicazione è quella di prendersi qualche minuto per guardare fuori dalla finestra un'attività apparentemente inutile ma che gli esperti dicono possa aiutare ad allenare il cervello a rallentare. Obbligarsi poi a vivere alcune ore liberi dal computer l'iPhone o il BlackBerry innanzitutto spegnendoli la notte e possibilmente tenendoli chiusi per almeno un paio di ore al giorno resistendo alla tentazione di verificare continuamente messaggi ricevuti. Se non si possono incontrare gli amici poi si può ricorrere alla cara vecchia telefonata, chiamando almeno tre amici ogni giorno con cui fare due chiacchiere e disintossicarsi dal computer. Il center for Internet and technology addiction ha messo in rete un test che può aiutarvi a determinare il vostro grado di dipendenza dalla tecnologia e indurvi a cercare dei rimedi per "staccare la spina".
venerdì 17 giugno 2011
Lasciatemi sognare...
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giovedì 16 giugno 2011
Sempre più...libellula
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Senza etichette
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martedì 7 giugno 2011
Stati Uniti: una nazione medicalizzata
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Per Alessandra il tutto è cominciato con un'insonnia. Nel 93 aveva problemi di coppia e il suo matrimonio non andava fatto bene. L'ansia la assaliva la notte così il suo medico di base le prescrisse delle pillole per dormire, i farmaci funzionavano benissimo Alessandra si sentiva rilassata e dormiva molto meglio, ma dopo alcune settimane iniziarono a insorgere nuovi sintomi. Inizialmente si sviluppò una bronchite e un'infezione polmonare così lo pneumologo le prescrisse un antibiotico ma durante la cura la donna accusò delle anomalie del ritmo cardiaco e si rivolse così ad un cardiologo che dopo alcuni test decise di somministrare un farmaco per l'aritmia. In aggiunta si svilupparono sintomi che resero necessaria una cura neurologica, innescando il ritorno dell'insonnia è una serie di disturbi che sfuggivano al controllo. Il tutto si tradusse in una temporanea disabilità che diede origine ad una forma di depressione. Un caso non del tutto raro, dove i medici che curavano la donna non si parlavano tra loro. Alessandra arrivò a spendere $ 900 al mese, assumeva 12 differenti tipi di farmaci per un totale di centinaia di pillole ogni mese. "Si era verificata una moltiplicazione delle prescrizioni" dice. Non è raro che i pazienti che ricevano prescrizioni multiple da differenti specialisti, ognuno focalizzato su uno specifico sintomo, ma ciò è potenzialmente pericoloso. Il primo rischio è quello di incorrere in una lunga serie di effetti avversi che si potenziano negativamente l'un l'altro. La Kaiser Family Foundation ha rilevato in un rapporto che l'uso di farmaci negli Stati Uniti continua ad aumentare e che il numero di prescrizioni è aumentato del 39% tra il 1999 il 2009 fino a raggiungere la spesa di 234 miliardi di dollari nel 2008. In media ogni americano assume almeno 12 farmaci diversi. La maggior parte dei farmaci inoltre vengono approvati per un uso singolo e quindi è impossibile predire quali effetti avversi possono manifestarsi dalla combinazione tra più molecole. È necessario allora allertare i pazienti sia dei rischi che dei benefici di alcune delle più comuni molecole somministrate. La maggior parte dei farmaci funziona benissimo ma troppe molecole possono interagire negativamente tra loro. Gli esperti suggeriscono di tenere una lista di tutti i farmaci assunti e di mostrarla al medico ad ogni visita. Alessandra si rese conto dell'effetto dei farmaci non solo dai sintomi ma anche dal proprio aspetto: la sua pelle era grigia, aveva dolori ovunque e la qualità della sua vita era crollata. Dopo circa 10 anni ha deciso di seguire un programma di disintossicazione e riabilitazione. Nella sua condizione, ci sono milioni di americani anche giovani.
giovedì 2 giugno 2011
Cervello di riserva o 'della riserva cognitiva'
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Oggi vi voglio raccontare la storia di Suor Bernadette, che faceva parte di una ricerca effettuata da David Snowdon dell'Università del Kentuky nel 1986. In questo progetto di ricerca le suore appartenenti al convento delle School of Sisters of Notre Dame erano periodicamente sottoposte a dei test mentali, come ad esempio quanti animali riuscivano a ricordare in un minuto, quante monete contavano correttamente, ed altre test cognitivi.
Le suore furono seguite nel corso di molte molti anni e accettarono di donare il cervello alla scienza dopo la loro morte.
Suor Bernadette si rivelò un caso molto particolare: in gioventù si era laureata, aveva insegnato alle scuole elementari per 21 anni e alle superiori per altri sette. Dopo gli ottant'anni aveva superato brillantemente qualunque test cognitivo e a 85 anni morì d'infarto: come da disposizioni il cervello fu inviato in laboratorio per essere analizzato e a prima vista sembrava un encefalo in buona salute. Solo dopo ho l'analisi al microscopio il professor Snowdon scoprì che il morbo di Alzheimer era ovunque e le placche intasavano sia l'ippocampo che la neocorteccia e raggiungeva i lobi frontali mostrando che nella scala di gravità suor Bernadette raggiungeva il livello 6, considerato il massimo grado di malattia. Questo suscitò non poca sorpresa perché nonostante le placche di malattia, le sue funzioni cerebrali erano perfettamente conservate come se nel suo passato il cervello avesse trovato una protezione dalla demenza. Analogo il caso di un anziano professore di Londra soprannominato “lo scacchista”, che notò un un certo declino mentale: mentre da giovane riusciva a calcolare sette mosse del gioco in anticipo, con l'età anziana scoprì di calcolare in anticipo solo quattro mosse. Si rivolse allora l'Istituto di neurologia dell'University College di Londra e dopo una batteria di test per individuare la demenza e una TAC lo rimandarono a casa senza diagnosi di malattia. Quando qualche anno dopo il professore morì, l'autopsia rivelò che il suo cervello era pieno di placche e di aggregati di neurofibrillari tipici dell'Alzheimer: il professore era affetto da una forma di demenza senile avanzata, ma per anni non aveva mostrato alcun segno esteriore della malattia. Queste straordinarie scoperte, alle quali si sono aggiunti altri casi, hanno portato alla definizione dell'esistenza di una “riserva cognitiva” ossia la possibilità di funzionare nonostante la malattia. I dati furono confermati da uno studio di Robert Katzman che nel 1988 studiò un gruppo di anziani residenti in una casa di riposo. Un gruppo di pazienti, pur presentando delle lesioni istologiche tipiche della malattia di Alzheimer, erano funzionalmente e cognitivamente efficienti quanto quelli del gruppo di controllo. L'analisi di questi risultati, confrontata con i fattori di rischio quelli protettivi, hanno hanno mostrato che il maggiore fattore di capacità mentale extra è l'istruzione che offre una protezione generale nei confronti del cervello. Il che non gli impedisce di danneggiarsi, ma lo protegge dalle manifestazioni esteriori della malattia. Le ipotesi su come l'istruzione agisca e ancora ha poco chiara la giornalista ha americana Gina Kolata sostiene che l'istruzione insegna la gente a rimandare la gratificazione e quindi a rinunciare ad abitudini negative come un'alimentazione troppo ricca di zuccheri e grassi o al fumo. Personalmente invece sostengo che l'istruzione rappresenti una vera è propria palestra per i giovani neuroni che imparano a reagire agli stimoli e si allenano ad una plasticità che può essere recuperata in età anziana.
Uno scienziato del Columbia College di New York studiò e pubblicò la sua ricerca nel 1994 scoprendo che le persone che avevano studiato per meno di otto anni da ragazzi avevano una probabilità doppia di andare incontro alla demenza. Allo stesso modo funzionavano le attività stimolanti cerebrali quindi la scrittura la lettura, la ricerca, l'elaborazione di informazioni ma anche attività del tempo libero come passeggiare, far visita agli amici, diminuivano del 38% il rischio di ammalarsi di Alzheimer. Un altro studio a lungo termine ha fatto emergere che le persone che avevano un rapporto molto ricco con il loro ambiente godevano di un minor declino intellettuale in un lasso di 14 anni, al contrario di quello che accadeva con un gruppo di vedove che non aveva mai lavorato e che faceva una vita solitaria. Sembra quindi dimostrato che avere un'attività intellettuale vivace e una vita sociale intensa influisca sulle nostre prestazioni mentali e rappresenti una protezione per la vecchiaia.
Nonostante queste evidenze è possibile continuare a coltivare la riserva cognitiva perché ormai sappiamo che l'esperienza altera in positivo le funzioni e le strutture cerebrali. Ci si può allenare: impegnandosi in attività fisiche e mentali che prevedano un discreto livello di problematicità e difficoltà è possibile attivare la neuroplasticità. Per approfondire di consiglio la lettura del libro “I tuoi anni migliori devono ancora venire" edito dai tipi di Mondadori.
Due cervelli is meglio che uno...
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Sono i cervelli più svegli, più allenati a studiare ed essere curiosi, che mettono in campo le risorse migliori: gli anziani che usano un emisfero per volta sono quelli con capacità cognitive più scarse e, si è scoperto che un fattore determinante è l'istruzione da giovani e l'aver continuato a studiare e leggere per buona parte della vita. Lo studio infatto crea una impalcatura di neuroni attivi e svegli che rimane come patrimonio per tutta la vita. Ad esempio è stato dimostrato che gli anziani bilingui mostravano un minore declino cognitivo in età avanzata. L'istruzione è quindi un fattore protettivo molto potente, è collegato a vita più lunga e alla protezione da molte malattie neurodegenerative, e influisce più della razza e del reddito, probabilmente perchè lo studio stimola i neuroni a reagire agli stimoli e allena la plasticità. Il resto? Lo racconterò in un altro post dove parlerò della straordinaria "riserva cognitiva".
La notte ti fa bella
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martedì 31 maggio 2011
Un 'movimento' pericoloso
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domenica 29 maggio 2011
Derive...cosmetiche: si trucca anche lui
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Dopo aver postato su Facebook la mia indignazione relativa al fatto che anche gli uomini fanno la ceretta all'inguine ho scoperto che la deriva cosmetica maschile continua inesorabile. Sono state infatti create linee di mascara maschile con matita occhi per approfondire lo sguardo e copriocchiaie, saloni di bellezza specializzati dove lui può fare mani e piedi, smalti sbiancanti e naturali, anche se il signor Beckam ci ha abituati all'idea che lui faccia una capatina nel beauty case della moglie per mettersi uno smalto nero e si faccia poi fotografare. Sempre il nostro lui, non necessariamente gay ma sicuramente metrosexual si nutre a pranzo con barrette ipocaloriche proteiche che lo aiutano a mentenere i risultati faticosamente ottenuti in palestra e alle 16 mangerà uno yogurt arricchito di collagene magari insieme ad un integratore di vitamine. Marketing o reale deriva? Direi la solita creazione di bisogni: hai fatto tardi ieri sera? Mica ti puoi presentare al lavoro con quell'aria da cadavere. Ecco allora la crema rigenerante, il siero illuminante e perchè no, una crema idratante colorata e una spennellata di terra abbronzante. Medicina estetica e chirurgia plastica? Sdoganate, lui si fa spianare le rughe della fronte e riempire i solchi naso genieni. Fin qui, nulla di male, ma sull'uomo che mi dice: 'cara, aspetta un attimo, arrivo, finisco di mettermi il mascara...' una piccola riserva, si, ce l'ho.
sabato 28 maggio 2011
Eccelibro: L'amore dopo i 50
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venerdì 27 maggio 2011
Le carenze affettive
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lunedì 23 maggio 2011
Stacca la spina
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martedì 3 maggio 2011
Ascoltare...
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giovedì 28 aprile 2011
Timer per i dentini e non solo...
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Partiamo dal presupposto che non mi faccio una ragione del fatto che siamo capaci di fare vacanze nello spazio ma che ci dobbiamo spazzolare i denti tre volte al giorno almeno. Ossia che non sia stato inventato un lavatore laser, apri la bocca tre secondi e hai i denti perfettamente puliti per 8 ore. E poi mi venite a parlare di innovazione, bah. Dico questo perchè detesto lavarmi i denti e lo faccio per puro senso del dovere e senso della parcella del dentista. Lavarmi le mani invece è un must, appena rientro da fuori una bella saponetta (quelle naturali alla cera d'api di Apiarium) e il piacere dell'olio essenziale di rosmarino che si spande nell'aria è un piacere assoluto. Ma torniamo a noi, il fatto è che non basta lavarsi i denti ma è necessario farlo con tutti i crismi e soprattutto per un determinato numero di minuti. E qui sorgono i problemi perchè figurati se sto a contare e non ho mica la clessidra in bagno. Se è una rottura per me immaginiamoci per i nostri bambini (mia figlia ad esempio li lava solo se li lavo anche io, meccanismo imitativo puro). Ci hanno allora pensato gli americani con questo semplice e accattivante dispositivo, un timer che misura la durata di lavaggio di mani e denti. Spingi il pulsante, spazzoli o strofini sino a che un cicalino ti avvisa che il tempo sufficiente è trascorso e via al prossimo appuntamento con lo spazzolino. Due minuti per i denti e almeno venti secondi per le manine (anche le mie). Lo ordino su internet, non credo di poterne fare a meno.
mercoledì 27 aprile 2011
Eccelibro: Non solo sesso
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martedì 26 aprile 2011
Elogio dell'astinenza
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giovedì 21 aprile 2011
Il testosterone? Cura il diabete
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La notizia mi ha un po' presa alla sprovvista ed ho dovuto rileggere l'articolo un paio di volte prima di raccapezzarmi. Volevo capire se il link tra le due cose fosse davvero attendibile, oppure fosse l'allargamento di una indicazione ad un settore più vasto e redditizio. Lasciando ai posteri l'ardua sentenza - i quali, poveretti, avranno il loro bel da fare - ecco la news: l'applicazione di testosterone in gel ha mostrato di essere in grado di migliorare i parametri dell'insulino-resistenza negli uomini che hanno un basso livello di questo armone nell'organismo. L'applicazione del farmaco ha mostrato di abbassare il livello di colesterolo nel sangue e, ovviamente, di migliorare le prestazioni sessuali. Una applicazione al giorno migliorerebbe il diabete di tipo 2 e la sindrome metabolica, come dimostrato da un trial condotto su 220 uomini di mezza età e anziani e ora pubblicato sulla rivista Diabetes Care.
La ragazza del the
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venerdì 15 aprile 2011
Eccelibro: Etica oggi
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Una breve ed efficace panoramica sui più importanti problemi di bioetica del nostro tempo, sono quelli che la filosofa italiana (ma ormai francese di adozione) Michela Marzano elenca nel suo ultimo libro: "Etica oggi". Dall'etica del corpo e di chi può decidere su di esso alla questione animale e all'etica della guerra con la scomoda domanda: 'può esistere una guerra giusta?'. Dalle questioni della fecondazione eterologa e la nuova definizione di paternità alla polemica sugli OGM.
Nonostante Marzano non goda della mia simpatia umanamente (in una trasmissione in diretta rispose piccata al conduttore che l'aveva citata come 'dottoressa' un poco elegate 'professoressa prego!') trovo che questo testo, che ha il tocco professionale di un editore di tutto rispetto come Erickson, abbia il dono di essere sintetico ed esauriente nel porre le questioni. Ovviamente non poteva, per ragioni di spazio, contenere anche le risposte alle più spinose questione di bioetica moderna, ma la panoramica è onesta e soprattutto obiettiva. Conclude con i capitoli a mio parere più interssanti: uno sulla morale sessuale contemporanea (mai tema fu più azzeccato) e della moralizzazione del lavoro unita alla corsa alla responsabilità sociale delle imprese. Quindi, ritengo che per chi voglia avere una idea dei temi più spinosi della bioetica e dell'etica in generale questo sia un ottimo punto di partenza e quindi ve lo consiglio.
Eccelibro: Manuale di sopravvivenza energetica
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Andrea Mameli è un bravo e brillante fisico di Cagliari che ha appena scritto un prezioso Manuale di Sopravvivenza Energetica per i tipi di Scienza Express (editore da tenere d'occhio) e di cui mi onoro avere l'amicizia su FB. Vivere, questo è il principio, presuppone consumare risorse ed energia. Un costo per l'ambiente. Una serie di azioni automatiche che riteniamo ormai insignificanti ma che lasciano una 'impronta ecologica' sull'ambiente. In questo testo agile ma molto ben documentato Mameli si prende la briga di analizzare i più comuni consumi energetici delle nostre case e della nostra esistenza, valutare quanto ci costano e suggerirci un a alternativa più sostenibile. Ma fa anche di più, rafforza infatti l'equazione che insieme all'ambiente si possa tutelare anche il portafoglio calcolando che, mettendo in pratica tutti i consigli del libro, si possa arrivare a risparmiare sino a 1000 (mille) euro l'anno. Per lasciare una impronta più leggera, per condividere una nuova cultura che lasci un'eredità anche ambientale ai nostri figli che potranno, speriamo, trasmettere ai loro nipoti. Una delle osservazioni più nuove e interessanti è che anche le case vuote, disabitate o inoccupate per molte ore al giorno consumino a nostra insaputa cifre rilevanti. Meditate gente e poi mettete in pratica una serie di azioni semplici ma efficaci. E bravo Andrea!
Perchè no
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lunedì 11 aprile 2011
Alla ricerca dell'imperfezione...
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Sono incredibilmente attratta da un dettaglio imperfetto sul volto delle persone attraenti. Le donne più belle che apprezzo sono quelle dal volto asimmetrico, dal dettaglio inconsueto, dall'imprevisto che dà fascino all'insieme.
Faccio alcuni esempi: lo strabismo e il diastema di Loren Hutton ne fanno per me una delle donne più affascinanti del pianeta, il viso allungato e gli occhi vicini di Kim Raver e di Alessandra Ambrosio che non ha impedito loro di diventare una splendida attrice la prima e una super model la seconda. E poi il neo di Marilyn e di Cindy Crawford e via discorrendo. La bellezza assoluta e regolare invece mi annoia, preferisco qualcosa di inaspettato che dia un'emozione, che faccia palpitare il cuore e i sensi. Così i volti non perfettamente simmetrici, fuori dei canoni della sezione aurea che trovo molto sensuali. Insomma, ho i miei gusti. Non a caso gli uomini della mia vita non erano belli in senso classico ma molto fascinosi, anche se la bellezza maschile ha per me una importanza relativa, mi colpisce di più la postura, il gesto, l'eleganza. L'uomo troppo bello è noia, no, non ho detto gioia, ma noia noia noiaaaaa
Ricerca: i soldi non danno la felicità, la bellezza...si
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Dunque, inziamo col dire che lo avevamo intuito, ma che una ricerca dell'Università del Texas ha confermato come le persone belle siano più ricche e felici di quelle che non lo sono. Il campione di 25mila persone in tutto il mondo è abbastanza attendibile e il risultato è molto semplice: le persone attraenti hanno benefici anche in termini economici anche se non vale il contrario ossia le persone ricche non sono necessariamente più belle (anche se potrebbero accedere a tecniche di chirurgia plastica o medicina estetica). I vantaggi dell'essere belli (a parte il rischio che ti tirino delle pietre i soliti invidiosi) sono numerosi e legati l'uno all'altro: i belli riescono più spesso a fare il lavoro che amano e quindi guadagnano di più, inoltre attraggono persone potenti e quindi ricche oppure persone belle a loro volta che massimizzano il beneficio delle maggiori entrate. I coniugi Beckam sono un piccolo ma significativo esempio, belli e ricchi, lui fa il calciatore e lei probabilmente non sa fare nulla, ma ci ha costruito su un impero.
Nello studio texano sono state intervistate migliaia di persone e interrogate sul proprio livello di felicità e messo in relazione con l'aspetto estetico, mostrando come il 15% delle persone più attraenti della media fosse più felice di quelli brutti ma anche di quelli nè belli nè brutti. Una felicità che nasce in parte dalla fiducia in sè, dall'autostima e dal fatto di ottenere più facilmente ciò che si desidera. Che la bellezza sia un valore sociale è ben noto. Io non sarò proprio una top model ma faccio la mia figura, testimoniato dal fatto che un bell'uomo dagli occhi celesti mi ha portato la valigia in aereo e poi giu sino all'auto. Cosa che se mi fossero mancati gli incisivi anteriori non avrebbe di certo fatto, o almeno non con lo stesso piacere. Personalmente trovo la bellezza gratificante, non la mia, ma guardare le cose belle mi appaga, un fiore straordinario, un bal bambino, un paesaggio, un palazzo antico, insomma, la bellezza riempie l'anima di armonia. Non si può negare. Poi, va coltivata insieme alla personalità per non far si che sia solo un contenitore vuoto, ma è un vantaggio, lo dicono anche gli scienziati. Ma attenzione, funziona solo con la bellezza autentica e naturale, quella costruita sul lettino del chirurgo o del medico estetico non ha lo stesso effetto.
Il seducente artigianato del cappello...
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http://www.galliaepeter.it/ da Gallia e Peter non solo cappelli……… Gallia e Peter, storica modisteria milanese, apre la nuova sede in via Moscova 60 con una mostra di antiche forme in legno dal suo archivio ripensate da Laura Marelli e Francesca Norsa. Affascinanti memorie del passato si trasformano in raffinati oggetti per la casa che accompagnano la nostra vita: così la bombetta di legno diventa un porta- pipe per lui e la forma per cappello a tesa sarà "vestita" con i ricordi di un momento speciale... Vi aspettano dalle 11 alle 20 nella nuova sede di Via Moscova,60 20121 Milano Tel. 02 76002628
domenica 10 aprile 2011
2 milioni di italiani che non bevono acqua...
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Il 5% degli italiani, circa 2 milioni di persone di età compresa tra i 18 ed i 64 anni, non beve mai acqua!!! Il corpo umano, infatti, è composto in media dal 60% di acqua, con una percentuale che varia a seconda dell’età, passando dal 75-80% nel neonato al 40-50% nell’anziano, con maggiore concentrazione nei tessuti a più alta attività metabolica quali cervello (85%), sangue (80%), muscoli (75%) cute (70%), tessuto connettivo (60%) e ossa (30%). Il tessuto con il minor quantitativo di acqua è quello adiposo, con il 20%. I soggetti obesi, quindi, hanno una percentuale di acqua inferiore a quella delle persone normopeso, a differenza degli atleti con buona muscolatura. Eppure l'acqua serve a mentenere l'organismo in buona salute e a prevenire alcune patologie: lo ha sottolineato nel Consensus Paper “Idratazione per il benessere dell’organismo” presentato oggi a Milano e sviluppato con il contributo scientifico del Prof. Umberto Solimene, Direttore della Scuola di Specializzazione in Idrologia Medica/Medicina termale all’Università degli Studi di Milano, e dal Prof. Alessandro Zanasi, Idrologo e Docente nella Scuola di Specializzazione in Malattie dell'Apparato Respiratorio della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi di Bologna. Con l'obiettivo di raccontare le differenti funzioni che l’acqua svolge nell’organismo incidendo sulla salute ed il benessere dell’individuo, conoscenze supportate da studi nazionali ed internazionali e che svelano le innumerevoli proprietà salutari di questa risorsa spesso sottovalutata. Una corretta idratazione è fondamentale per il naturale svolgimento delle reazioni biochimiche e dei processi fisiologici che assicurano la vita. L’acqua, infatti, è coinvolta in una serie di funzioni fondamentali per la vita, dal trasporto dei nutrienti alla regolazione del bilancio energetico, svolge una funzione detossicante e regola la temperatura corporea e l’equilibrio idrico. “Utilizzata come bevanda oltre a svolgere una funzione dissetante senza alcun introito calorico, favorisce i processi digestivi, è fonte di sali minerali e svolge un ruolo importante come diluente delle sostanze ingerite, inclusi i medicinali – ha sottolineato il Prof. Solimene – Coloro che non bevono alcun tipo di acqua sopperiscono a questa cattiva abitudine alimentare assumendo bevande caloriche che, a medio e lungo termine, possono avere conseguenze negative sulla salute quali diabete ed obesità. Quando il bilancio idrico si fa negativo si parla di disidratazione, letteralmente cattiva idratazione. Possono risultare gravi per l’organismo umano bilanci anche moderatamente negativi di acqua. Una diminuzione dell’acqua totale corporea del 2% del peso del corpo, ad esempio, è già in grado di alterare la termoregolazione e influire negativamente sul volume plasmatico, rendendo il sangue più viscoso e limitando l’attività e le capacità fisiche del soggetto: il cuore si affatica e può insorgere, nei casi estremi, il collasso cardiocircolatorio. Con una diminuzione del 5% si hanno crampi; una diminuzione del 7% del peso del corpo può provocare allucinazioni e perdita di coscienza. Perdite idriche vicine al 20% risultano incompatibili con la vita. “E’ bene ricordare che l’assunzione giornaliera varia notevolmente per i singoli e tra gruppi – ha chiarito Solimene - Per gli sportivi, ad esempio, la quantità di acqua necessaria va definita in base al tipo di attività svolta, alla durata e alle condizioni climatiche: si va da 1 litro e mezzo a 3 litri al giorno. Per un individuo sedentario il quantitativo necessario va da circa 1,2 litri fino a 2,5 litri. Chi svolge attività fisica e vive in un ambiente caldo, invece, deve quotidianamente bere circa 6 litri di liquidi, quantità che cresce se svolge un’attività intensa.” Ci sono poi alcuni soggetti per cui l’acqua è particolarmente importante come le donne in gravidanza, in cui una buona idratazione è essenziale per assicurare l’omeostasi dei due organismi, e i bambini nei quali il giusto apporto di liquidi incide sullo sviluppo dell’organismo. Secondo i dati Eurisko, il 34% degli italiani beve esclusivamente acqua minerale, il 13% della popolazione predilige l’acqua potabile, mentre il 48% le beve entrambe, a seconda delle occasioni. Le principali ragioni di scelta dell’acqua minerale sono il potere dissetante (40%), il gusto (36%), la sicurezza (27%) a parità del potere diuretico. 24 persone su 100 ne riconoscono, infine, i benefici per la digestione e 23 su 100 la leggerezza. Tra coloro che consumano acqua potabile spicca quale principale motivazione la facile reperibilità, soprattutto per il consumo in casa, l’economicità e il buon sapore. Non emergono riconoscimenti specifici legati ai benefici per la salute. L’acqua che beviamo deve essere di buona qualità, igienicamente sicura e presentare caratteristiche organolettiche gradevoli per indurci a bere. In Italia l’acqua comunemente distribuita dai rubinetti è mediamente soddisfacente e sicura; tuttavia la sua qualità ed il suo sapore possono variare da luogo a luogo come conseguenza delle condizioni dell’acqua greggia e dei trattamenti che subisce. Inoltre l’acqua in bottiglia ha il compito esclusivo di essere utilizzata come bevanda, presentando caratteristiche peculiari, quali una costanza di composizione nel tempo, una purezza originaria, il non essere sottoposta a interventi di potabilizzazione ed effetti salutistici, riconosciuti dal Ministero della Salute e legati al contenuto di Sali minerali. Un esempio è rappresentato dalle acque bicarbonato-calciche per le quali numerosi studi hanno dimostrato la capacità di rispondere al fabbisogno di calcio dal momento che presentano una biodisponibilità di calcio pari, se non superiore, a quella dei latticini.”
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