Due piatti mi ricordano mia nonna o viceversa, comunque sono la pasta ripassata in padella (meglio se con l’uovo) e le seppie coi piselli.
Mi rendo conto di aver vissuto intensamente negli ultimi anni. Ho smesso di ricordare perché non ne avevo il tempo. Ogni minuto mi serviva a vivere.
E invece c’è un tempo per ricordare.
Avevo rimosso la mia infanzia. Poi, in questi ultimi tempi ne ho ritrovato dei pezzetti, brandelli, gocce di memoria che si sono attratti, uniti. Il risultato è un quadro, una immagine unitaria…E appena mi balena alla mente un ricordo improvviso devo fermarmi e scriverlo, appuntarlo su un foglio, atrimenti fugge via.
Io e mia nonna giocavamo a scala quaranta, credo che ogni tanto mi facesse vincere perché io detestavo perdere e una volta per la stizza strappai una carta. Mia nonna ci mise dello scotch e quel mazzo rimase li per altri vent’anni, forse anche lui è ancora lì, in qualche cassetto. A casa mia non si buttava nulla volentieri. I miei avevano fatto la guerra, quella vera, la fame, quella altrettanto vera, altro che isola dei famosi e c’era l’idea che tutto poteva servire prima o poi, o che alcuni modelli potevano tornare di moda. In quegli armadi ci sono ancora pantagonne blu elettrico, un mio bomber argento e diversi abitini di quando mia madre aveva vent’anni, con tutto il rispetto, roba da pleistocene….
Ma torniamo ai giochi: a Natale era d’obbligo giocare a Monopoli, maneggiare soldi, anche se finti, ci divertiva di più che litigare con i ceci della tombola (chissà saranno state le antiche origini ebree). Fatto sta che le partite duravano giorni interi. Mio zio, la pecora nera della famiglia, faceva il cassiere, ladro e baro e rubava i soldi per passarli sotto il tavolo a mia nonna o a mia madre che era notoriamente negata per il gioco (ma anche piuttosto sfigata in amore).
A proposito del tavolo del salotto devo fare una confessione, sperando che il reato sia caduto in prescrizione… Ebbene, spesso mi nascondevo sotto al tavolo per ritagliarmi un po’ di privacy e occuparmi dei casi miei e una delle mie attività preferite era….attaccarci le gomme masticate. Credo che le “prove del reato” siano ancora lì. Lo so, è orrendo. Posso avere le attenunati generiche o uno sconto di pena?
Quando si partiva mia nonna preparava una borsa apposita: panini con la frittata, arance tutte belle pulite e divise in spicchi. Poi portava un thermos di caffè e vari bicchierini di plastica perché si offriva a tutto lo scompartimento. Apriva la borsa, stendeva uno strofinaccio pulito, cominciava a scartare e la prima cosa che diceva era: “volete favorire?”. Mi è capitato di recente con una signora napoletana che andava a Milano, mi ha offerto un meraviglioso caffè ancora caldo, già zuccherato, fatto con l’amore delle mamme e non ho saputo dire di no. Aveva lo stesso odore di quello di nonna.
A casa mia nessuno guidava e quindi andavamo in treno ovunque. Viaggi anche molto lunghi, ma mia nonna trovava sempre qualcuno con cui chiaccherare, spesso di trovavano amici comuni e qualche volta forse lontanissime parentele. Alla fine ci si scambiavano gli indirizzi. Nonna adorava quando trovava qualcuno nato a Tripoli come lei, con cui poter rievocare i ricordi di una infanzia bella e serena. Era una persona molto socievole e io sono felice di assomigliarle.
I panini con la frittata erano magnifici: lei ci metteva anche un po’ di mentuccia e dopo qualche ora nella stagnola il pane era inzuppato nell’olio, morbido e gustoso. Ne vado ancora matta.
Se invece di partire con lei, arrivavi, potevi mettere la mano sul fuoco che avresti trovato un bel bollito col brodo e tutte le verdure. Dopo un viaggio faticoso era ciò che ci voleva. E non si sfuggiva.
Adoro le abitudini, sono rassicuranti, danno un senso di identità e continuità.
Molte delle manifestazioni dell’amore di mia nonna passavano per il cibo. Al mattino mi svegliava per andare a scuola e la prima cosa che mi chiedeva era: ‘allora, amore della nonna, che ti faccio per pranzo?’ al che mi veniva voglia di vomitare il caffellatte, ma mi trattenevo e quando rispondevo ‘non lo so’ si arrabbiava e andava via bofonchiando…’ma perché mi devo scervellare sempre io?’ giuro che di questa scena ho i testimoni. Se volevi farle un regalo bastava che le dicessi un desiderio, voglio la carbonara.
Guai invece a farle i complimenti per qualche pietanza particolarmente buona, perché presa dal desiderio di farti felice te la riproponeva per almeno i quattro giorni a seguire, il che diventava pesante. Ma anche per questo la amo e la amerò per sempre. Quello che mi dispiace è che il mio compagno non l’abbia conosciuta, si sarebbero piaciuti moltissimo. Ho sempre saputo i gusti di nonna.
Mi rendo conto di aver vissuto intensamente negli ultimi anni. Ho smesso di ricordare perché non ne avevo il tempo. Ogni minuto mi serviva a vivere.
E invece c’è un tempo per ricordare.
Avevo rimosso la mia infanzia. Poi, in questi ultimi tempi ne ho ritrovato dei pezzetti, brandelli, gocce di memoria che si sono attratti, uniti. Il risultato è un quadro, una immagine unitaria…E appena mi balena alla mente un ricordo improvviso devo fermarmi e scriverlo, appuntarlo su un foglio, atrimenti fugge via.
Io e mia nonna giocavamo a scala quaranta, credo che ogni tanto mi facesse vincere perché io detestavo perdere e una volta per la stizza strappai una carta. Mia nonna ci mise dello scotch e quel mazzo rimase li per altri vent’anni, forse anche lui è ancora lì, in qualche cassetto. A casa mia non si buttava nulla volentieri. I miei avevano fatto la guerra, quella vera, la fame, quella altrettanto vera, altro che isola dei famosi e c’era l’idea che tutto poteva servire prima o poi, o che alcuni modelli potevano tornare di moda. In quegli armadi ci sono ancora pantagonne blu elettrico, un mio bomber argento e diversi abitini di quando mia madre aveva vent’anni, con tutto il rispetto, roba da pleistocene….
Ma torniamo ai giochi: a Natale era d’obbligo giocare a Monopoli, maneggiare soldi, anche se finti, ci divertiva di più che litigare con i ceci della tombola (chissà saranno state le antiche origini ebree). Fatto sta che le partite duravano giorni interi. Mio zio, la pecora nera della famiglia, faceva il cassiere, ladro e baro e rubava i soldi per passarli sotto il tavolo a mia nonna o a mia madre che era notoriamente negata per il gioco (ma anche piuttosto sfigata in amore).
A proposito del tavolo del salotto devo fare una confessione, sperando che il reato sia caduto in prescrizione… Ebbene, spesso mi nascondevo sotto al tavolo per ritagliarmi un po’ di privacy e occuparmi dei casi miei e una delle mie attività preferite era….attaccarci le gomme masticate. Credo che le “prove del reato” siano ancora lì. Lo so, è orrendo. Posso avere le attenunati generiche o uno sconto di pena?
Quando si partiva mia nonna preparava una borsa apposita: panini con la frittata, arance tutte belle pulite e divise in spicchi. Poi portava un thermos di caffè e vari bicchierini di plastica perché si offriva a tutto lo scompartimento. Apriva la borsa, stendeva uno strofinaccio pulito, cominciava a scartare e la prima cosa che diceva era: “volete favorire?”. Mi è capitato di recente con una signora napoletana che andava a Milano, mi ha offerto un meraviglioso caffè ancora caldo, già zuccherato, fatto con l’amore delle mamme e non ho saputo dire di no. Aveva lo stesso odore di quello di nonna.
A casa mia nessuno guidava e quindi andavamo in treno ovunque. Viaggi anche molto lunghi, ma mia nonna trovava sempre qualcuno con cui chiaccherare, spesso di trovavano amici comuni e qualche volta forse lontanissime parentele. Alla fine ci si scambiavano gli indirizzi. Nonna adorava quando trovava qualcuno nato a Tripoli come lei, con cui poter rievocare i ricordi di una infanzia bella e serena. Era una persona molto socievole e io sono felice di assomigliarle.
I panini con la frittata erano magnifici: lei ci metteva anche un po’ di mentuccia e dopo qualche ora nella stagnola il pane era inzuppato nell’olio, morbido e gustoso. Ne vado ancora matta.
Se invece di partire con lei, arrivavi, potevi mettere la mano sul fuoco che avresti trovato un bel bollito col brodo e tutte le verdure. Dopo un viaggio faticoso era ciò che ci voleva. E non si sfuggiva.
Adoro le abitudini, sono rassicuranti, danno un senso di identità e continuità.
Molte delle manifestazioni dell’amore di mia nonna passavano per il cibo. Al mattino mi svegliava per andare a scuola e la prima cosa che mi chiedeva era: ‘allora, amore della nonna, che ti faccio per pranzo?’ al che mi veniva voglia di vomitare il caffellatte, ma mi trattenevo e quando rispondevo ‘non lo so’ si arrabbiava e andava via bofonchiando…’ma perché mi devo scervellare sempre io?’ giuro che di questa scena ho i testimoni. Se volevi farle un regalo bastava che le dicessi un desiderio, voglio la carbonara.
Guai invece a farle i complimenti per qualche pietanza particolarmente buona, perché presa dal desiderio di farti felice te la riproponeva per almeno i quattro giorni a seguire, il che diventava pesante. Ma anche per questo la amo e la amerò per sempre. Quello che mi dispiace è che il mio compagno non l’abbia conosciuta, si sarebbero piaciuti moltissimo. Ho sempre saputo i gusti di nonna.
3 commenti:
Signora Johann,
è davvero commovente il modo in cui parla di sua nonna...
quanto alle gomme da masticare propongo l'indulto....
Caro Felix, io mia nonna non l'amavo,la adoravo. Era una donna fortissima dai modi di panna, il suo tocco era una carezza, il suo sguardo era un sorriso. Una donna magnifica che ha avuto poco dalla vita e che avrebbe meritato tanto. E' stata con noi sino a 95 anni. Il 27 febbraio di quest'anno avrebbe compiuto 100 anni.
Ho già detto in precedenza che tua nonna doeva essere una persona speciale... e secondo me sapeva anche di tutte le tue malefatte. Comunque è mi opinione che le persone che si sono fatte amare ed hanno saputo amare sono sempre con noi. E' bello vedere come la ricordi
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