martedì 3 aprile 2007

Eccelibro: siamo ciò che mangiamo

DNA, cibo e culture
Editori Laterza
2007

Un libro straordinario sulle nostre origini scritto a otto mani da quattro scienziati italiani. Pieno di scoperte e dati sulle ultime acquisizioni scientifiche sull’evoluzione umana: gli studi più recenti infatti hanno ormai dato per acquisito che la specie non si sono succedute l’una all’altra ma hanno convissuto fianco a fianco. Come straordinariamente spiegato da Gianfranco Biondi e Olga Rickards nella prima parte, dove i due autori illustrano la storia degli ultimi sei milioni di anni, dall’alba dell’umanità a oggi. Grazie alla biologia molecolare sappiamo che il primo distacco dall’antenato comune tra ominini e scimmie è avvenuto ben 18 milioni di anni fa e ha visto coinvolti il gibbone e il siamango; poi 14 milioni di anni fa si è distaccato l’orango e sette milioni il gorilla. Scimpanzé e umano moderno sono stati una sola forma vivente sino a sei milioni di anni fa quando il caso li ha spinti verso vie evolutive diverse.
La divisione tra lo scimpanzé comune e il bonobo risale solo a tre milioni di anni fa, più o meno nello stesso momento – se così si può dire – in cui il genere Homo appariva nella nostra linea evolutiva e sostituiva gli Australopiteci.

Per lungo tempo abbiamo ritenuto che l'evoluzione di Homo nella direzione che conosciamo derivasse dall’enorme sviluppo del cervello. Sembra invece che siano stati i piedi i responsabili: la postura eretta e l’andatura bipede ha modificato lo scheletro. Il cervello più grande, quindi, sarebbe stata una conseguenza e non una causa. Dimostrando ancora una volta come l’evoluzione non abbia piani prestabiliti, ma innovi a caso, mantenendo poi le innovazioni che si rivelano utili. Ed è qui che si inserisce il magnifico capitolo sulla funzione del cibo nel processo evolutivo scritto da Rotilio. Volendo paragonare le calotte craniche di Gorilla gorilla e Homo sapiens si può notare che le zone di attacco dei muscoli della masticazione sono molto estese nel gorilla e limitate nell’Homo. La grande espansione del cervello umano che ha dimensioni di tre volte e mezzo rispetto al gorilla è frutto di un “handicap” alimentare nella potenza dei muscoli della masticazione. Insomma, l’efficienza mentale ha superato la potenza fisica. La riduzione della massa muscolare masticatoria nell’Homo è dovuta all’inattivazione di un gene della catena pesante della miosina, la proteina principale del muscolo. La mutazione impedisce l’accumulo della proteina e lo sviluppo dell’apparato. La mascella meno forte costrinse i ‘mutanti’ a emigrare e grazie al bipedismo colonizzarono nicchie ecologiche come zone di savana, ambienti dove avrebbero trovato una alimentazione appropriata allo sviluppo del cervello.

È come dire che fu l’alimentazione a determinare lo sviluppo del cervello e non viceversa, inoltre la riduzione dell’apparato masticatorio e del palato che si è avvicinato alla colonna vertebrale è un presupposto essenziale all’articolazione dei fonemi tipici del linguaggio umano. Queste informazioni dimostrano il flusso bidirezionale di effetti tra alimenti e geni e quindi la stretta correlazione tra cibo e Dna. Più precisamente gli ominini di 5-2,5 milioni di anni fa vivevano in foreste umide. Questi habitat impongono ai primati una alimentazione frutti-folivera come quella delle grandi scimmie attuali, un regime ricco di carboidrati a rapido assorbimento, ma poco digeribili per l’apparato umano per la presenza di fibre come cellulosa, lignina e pectina.

Il clima di 2,3 milioni di anni fa divenne più freddo e secco e spinse gli abitanti di quel periodo a cibarsi di insetti e larve, molto grasse e provviste di micronutrienti, così come miele, ricco di zuccheri semplici a rapida assimilazione. Con l’avvento del Pleistocene varia anche la dieta che si arricchisce di alimenti sotterranei delle piante: tuberi, radici, rizomi, semi e noci, ricchi di fibra, di carboidrati a lenta digestione (amidi), di acidi grassi polinsaturi che sarà un fattore nutrizionale determinate dello sviluppo cerebrale del genere Homo. Tra la fine del Pliocene e l’alba del Paleolitico la superficie dei molari si riduce dai 756 millimetri quadrati del Paranthropus robustus ai 478 dell’Homo habilis. Motivo? La frammentazione del materiale ingerito per una migliore digestione. Ma c’è di più, perché questi tratti anatomici indicano consumi consistenti di carne e qui si segna il definitivo distacco alimentare dalle grandi scimmie. Siamo nel definitivo stadio di acquisizione dell’onnivorismo e l’entrata di carne e grassi nella dieta significa più energia e una concentrazione di nutrienti che sono alla base di una espansione cerebrale superiore. Semi e noci hanno dato per la prima volta un sostanziale apporto di acidi polinsaturi specifici delle strutture cerebrali e la carne ha reso disponibili aminoacidi essenziali dai quali derivano anche mediatori chimici fondamentali per la funzione nervosa. Questo libro dimostra che si è davvero quello che mangia.
(Johann Rossi Mason per www.galileonet.it)

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